IL VANGELO STRABICO
V Domenica di Pasqua – C
(Atti 14, 21-27; Apocalisse 21, 1-5; Giovanni 13, 31-35)
A cura di Benito Giorgetta
Quel “come” che impreziosisce il modo di amare
Ascoltiamo il Vangelo:
“Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri»”.
Nell’intimità del cenacolo Gesù ha vissuto con i suoi amici momenti indimenticabili per la gioia, l’intensità relazionale e i doni che ha lasciato. Ma vi è anche una nota di amarezza: il cuore di Giuda, intorbidito dal desiderio di possesso, lo porta a tradirlo. Nonostante tutto, Gesù, non si scoraggia, ma rilancia la posta in gioco e, sfidando tutti, consegna un comandamento nuovo: “Amatevi come io ho amato voi”. Un invito, un programma, una prova, ma aggiunge anche quale deve essere il modo attraverso il quale si devono far riconoscere: “ Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. La divisa di questa squadra e il loro codice identificativo è l’amore reciproco.
Il condimento migliore per ogni tipo di relazione è sempre l’amore perché è la forma più alta e bella, più impegnativa e redditizia, quella che permette di consegnare noi stessi alla persona che abbiamo dinanzi, senza barriere, senza tornaconti, senza calcoli, senza desideri di ritorno, gratuitamente. L’amore cementa e solidifica i rapporti in un modo così particolare che li rende unici, apicali, particolari, irripetibili. Ma Gesù insegna ai dodici che dell’amore debbono essere la sorgente che dona, che emana, non il recipiente che vuole essere riempito ma acqua che disseta, abbraccio che include, mente che non esclude nessuno, cuore che si dona. Ecco perché non solo invita ad amare ma dona se stesso come modello: “Come io ho amato voi”. Questo “come” da la caratura di un amore particolare, che non si lascia ingannare dall’apparenza, che non si lascia narcotizzare dalla bellezza estetica, che non si lascia imbrogliare dal calcolo. E’ un amore disarmante come lo è stato quello di chi l’ha insegnato dalla cattedra della croce. Quella croce, parafulmine dell’umanità ed Everest apicale di dono totale incondizionato, gratuito e preveniente, è scuola di vita, faro che illumina, calamita che attira.
Questo è un modo scandaloso di amare, estremo, controcorrente, spregiudicato, radicale, da sballo. Chi è capace di esprimerlo è un eroe, un martire che uccide se stesso per fare spazio agli altri, che toglie la vita a sé per donarla a chi gliela chiede. La casacca del cristiano non è di natura estetica ma sostanziale, non s’indossa ma si mostra, non si proclama, ma si vive. Dal modo di amare chi vede deve capire chi siamo. L’identità non è data da una registrazione anagrafica ma da uno spessore di vita, da una capacità di trasformare chi s’incontra perché ci si presenta disarmati o armati dalla solo volontà di amare in ogni circostanza, con intensità unica.
Questo è il lievito che solleverà il mondo, che lo renderà diverso, che rivelerà Dio a chi lo cerca perché lo troverà nel nostro abbraccio, nel nostro sorriso, nella capacità di perdonare, di comprendere. In sostanza Gesù ha chiesto di amare come ama lui perché vuole che siamo anche noi apostoli investiti della sua stessa missione, salvare il mondo non condannandolo, ma amandolo, usandogli misericordia. Perché, come il Padre è misericordioso per noi, noi lo dobbiamo essere per tutti. Dobbiamo essere sorgenti e non pozzanghere.