Servizio a cura di Fabio Colagrande per Radio Vaticana
Francesco “in cammino”
Il terzo anniversario del Pontificato del primo Papa gesuita e latinoamericano della storia, cade quest’anno nei primi mesi dell’Anno Santo straordinario che lui stesso ha voluto dedicare alla Misericordia. Gli ultimi dodici mesi hanno visto il Pontefice argentino, che proprio un anno fa aveva indetto il Giubileo, viaggiare per quattro continenti, pubblicare un’Enciclica dedicata alla “cura della Creato” e celebrare un Sinodo ordinario dedicato alla famiglia. Ma tante sono state le occasioni e gli incontri in cui Francesco ha confermato la sua immagine di Pastore “in cammino” con il Popolo di Dio, un pastore impegnato – come ha affermato l’attore Roberto Benigni – ha tirare, con tutte le sue forze, la Chiesa verso Gesù Cristo. Ma qual è l’immagine più rappresentativa di quest’ ultimo anno che abbiamo vissuto con lui?
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I due papi passano la Porta Santa
“L’immagine che mi piace ricordare – spiega mons. Giuseppe Lorizio, docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense – è quella dei due Papi, Papa Francesco e il Papa emerito, Benedetto XVI, che, l’8 dicembre 2015, dopo essersi abbracciati, attraversano la Porta Santa della Basilica Vaticana, uno dopo l’altro. E’ una fotografia che ci aiuta a sgombrare il campo da certi strabismi giornalistici: come quello di chi applaude a questo Papa come se il Pontificato degli altri fosse negativo. Un’immagine che ci conferma quanto a Francesco, come ai suoi predecessori, stia a cuore la comunione nella diversità. Due persone così diverse che attraversano insieme quella Porta Santa, unite dalla stessa fede e dal ministero che hanno condiviso, simboleggiano la varietà della Chiesa ma anche la sua unità, che non è omogeneità. Un’istantanea importante anche per rispondere a chi rappresenta Francesco come una Papa della ‘discontinuità’ rispetto al Magistero e alla tradizione che lo hanno preceduto. Niente di più falso, perché la sua lezione, pur condotta con uno stile unico, si radica nella tradizione. Un’immagine per evitare infine anche il rischio della ‘papolatria’, che porta qualcuno a concentrarsi più sul Papa che su Gesù Cristo”.
Quella ‘papolatria’ è contro Francesco
D’accordo con la necessità di evitare la ‘papolatria’, per raccontare Francesco è Marco Burini, giornalista che segue quotidianamente l’attività del Papa su TV2000, il network televisivo dei cattolici italiani. “Se prendiamo sul serio l’invito del Papa a considerare e vivere la Chiesa ‘in uscita’, nella sua vocazione ‘missionaria’, dobbiamo, in un certo senso, uscire dal Papa stesso, perché il Ministero petrino è un tesoro della Chiesa. Stiamo attenti perciò a fare il monumento a Bergoglio anzitempo. Sia perché sappiamo che fine fanno i monumenti nelle piazze, sia perché sarebbe particolarmente controproducente, specie in ambito mediatico, rispetto a un Pontefice che sta portando avanti un ministero ‘centrifugo’ , di ‘uscita’, che condanna l’autoreferenzialità”. Per quanto riguarda l’immagine simbolo degli ultimi dodici mesi di Pontificato, anche Burini torna all’apertura del Giubileo della Misericordia. “Propongo un’immagine doppia: la Porta Santa di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, che si spalanca alla lieve spinta di Francesco e quella di San Pietro che gli oppone resistenza. In questa doppia immagine, in questa dialettica, in questa contraddizione cosi eloquente, c’è una ricchezza che va apprezzata, anche al di là delle ansie di bilancio e classificazione di noi giornalisti. Dobbiamo entrare in sintonia con lo stile di Francesco che – come ricordava Roberto Benigni – è lo stile del ‘camminare predicando’, o meglio del ‘predicare camminando’, come fa Gesù nel vangelo di Marco”.
Il Papa fermo al confine, ma capace di misericordia
Raniero La Valle, giornalista e scrittore, cinquant’anni fa cronista del Concilio Vaticano II, propone un’altra immagine per raccontare il terzo anno del Pontificato di Francesco. “Io torno con la memoria all’ultimo giorno del suo recente viaggio in Messico, quando il Papa si è recato al confine con gli Stati Uniti, a Ciudad Juarez, per celebrare Messa. Su quella frontiera, dove s’infrangono le maree di poveri, profughi, esuli, in cerca di una vita migliore, anche lui si è in qualche modo fermato. Davanti al muro, al filo spinato, alle pattuglie che impediscono l’ingresso. Un’immagine, questa di Francesco al confine, che si ricollega al suo primo viaggio in Italia, a pochi mesi dall’elezione, presso l’isola di Lampedusa. La scelta di visitare il mondo della sofferenza, dell’esclusione, dello scarto, come a dire che questo popolo deve essere il primo per cui la Chiesa si impegna e si spende. Da notare però come alla frontiera con il Texas il Papa sia stato capace anche di benedire coloro che respingono i migranti. Nello stesso momento in cui si ferma al confine, è anche in grado di oltrepassarlo, di offrire questo segno di comunione che va al di là dell’inimicizia”.
Non è il Papa, ma è il mondo che cambia
“Mi sembra un’immagine forte – conclude La Valle – che ci aiuta anche a dirimere la questione se Francesco sia o no il Papa del cambiamento. Il Ministero petrino, infatti, resta lo stesso, ma è il mondo che cambia. Non era mai accaduto che cinquanta milioni di persone fossero in movimento sul globo o che le acque iniziassero a sommergere la terra ferma. Allora questa è la novità. Non è il Pontefice che è diverso, ma è il mondo a cui è chiamato ad annunciare la Buona Novella che è mutato, presenta esigenze, drammi, urgenze diverse. La domanda vera, però, non è se Francesco stia cambiando il Papato, ma se stia cambiando davvero la Chiesa. Perché una Chiesa che non sente l’esigenza di cambiare, sotto la spinta del soffio dello Spirito, è una Chiesa che va portata in sala di rianimazione”.