La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) “Oliari e altri contro Italia”. – sentenza di primo grado, dunque non definitiva è suscettibile di appello – che, sulla base del ricorso di cittadini italiani omosessuali, impone al nostro Paese di riconoscere in qualche modo le convivenze omosessuali, è una sentenza aberrante e pessima, ma non impone al Parlamento italiano di approvare la legge Cirinnà, come molti – per ignoranza o malizia – sostengono. La sentenza può essere spiegata in tre passaggi.
Primo: emana dalla Cedu, che non è un organo dell’Unione Europea,anzi per la precisazione con l’Unione Europea non ha nulla a che fare. Ci si dovrebbe dunque astenere dal consueto sciocchezzaio sul «rischiamo di essere buttato fuori dall’Europa», «siamo peggio della Grecia» e simili. Alla Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo aderiscono tutti i Paesi dell’area geografica europea, compresi Russia, Moldavia e perfino Turchia, che ovviamente non fanno parte dell’Unione Europea. La Cedu è una delle tanti Corti internazionali i cui giudici sono nominati con meccanismi oscuri alla maggioranza dei cittadini dei Paesi che ne patiscono le decisioni, senza neppure il minimo controllo democratico che il Parlamento europeo, che per lo meno è elettivo, assicura sulle istituzioni dell’Unione Europea. Le sue sentenze non sono direttamente applicabili nei Paesi membri, ma la violazione implica sanzioni e multe. Il potere di questo tipo di Corti, il cui funzionamento resta opaco alla maggioranza dei cittadini, rappresenta un esempio tipico della tecnocrazia denunciata da Benedetto XVI e Papa Francesco. Se questa sentenza indurrà un certo numero di Paesi – a partire da quelli dell’Europa dell’Est, Russia in testa, che difficilmente vorranno adeguarsi e introdurre le unioni omosessuali – a riflettere sul meccanismo della Cedu, a chiedere riforme e anche a smarcarsi forse tutto il male non sarà venuto per nuocere.
Secondo: la sentenza è tecnicamente aberrante perché – quando stabilisce un diritto delle coppieomosessuali conviventi a vedersi riconosciute in quanto tali – rappresenta un’entrata a gamba tesa gravissima nella sfera della sovranità dei singoli Stati, che evidentemente comprende l’ambito delicatissimo della famiglia. Non a caso la sentenza cita esplicitamente la decisione della Corte Suprema americana, che ha gravemente violato i diritti dei singoli Stati degli Stati Uniti. Ma la sentenza della Cedu è peggiore, perché i singoli Stati degli Stati Uniti partecipano a un’unione politica federale mentre ovviamente non c’è nessuna unione politica o federazione che tenga insieme Russia, Turchia, Moldavia e Paesi dell’Unione europea. La sentenza si basa anche su informazioni frammentarie e talora false. Afferma che l’opinione pubblica italiana è ampiamente favorevole alle unioni omosessuali, leggendo in modo unilaterale alcuni sondaggi e ignorandone altri, per non parlare di piazza San Giovanni e del milione di persone che sono andate in piazza a dire il contrario. Ci si chiede con quanto zelo il nostro governo abbia difeso l’Italia, che si ritrova condannata sulla base di informazioni in parte inesatte.
Terzo: la sentenza – che è lunga e va letta tutta – afferma che le coppie omosessuali che convivonohanno diritto a vedersi riconosciuti i «diritti fondamentali» che derivano dalla convivenza – non i semplici diritti di cui gode ogni cittadino alla vita, all’integrità fisica e così via – ma è attenta a precisare che sulle forme di questo riconoscimento gli Stati rimangono sovrani, citando sua precedente giurisprudenza in questo senso. Dunque non concedere nessun riconoscimento dei diritti dei conviventi in quanto conviventi – non solo in quanto persone umane – per la Cedu è inaccettabile. Ma da qui non discende alcun obbligo di adottare leggi come la Cirinnà. Esplicitamente la Cedu ricorda che nessuno Stato è obbligato a introdurre l’adozione omosessuale: e nella Cirinnà l’adozione c’è. L’articolo prevede l’adozione da parte di un convivente del figlio biologico o adottivo dell’altro, aprendo la strada anche all’utero in affitto. Né la Cedu impone cerimonie in Comune, richiami alla disciplina del matrimonio, reversibilità della pensione, specifiche normative sull’eredità. La pessima sentenza – che non va in alcun modo accettata – va dunque letta così: gli Stati sono tenuti a riconoscere in qualche modo le convivenze omosessuali, ma sui modi del riconoscimento i Parlamenti – e ci mancherebbe altro – restano sovrani.
Parlamentari, commentatori e vescovi dovrebbero tenerne conto. Idealmente, si dovrebbe auspicareuna resistenza, nazionale e internazionale, alla sentenza della Cedu, che è comunque suscettibile di appello che confidiamo il governo italiano presenti immediatamente. Già sul tema del crocefisso nelle scuole una decisione di primo grado della Cedu aberrante e ostile all’Italia fu rovesciata in appello.
Se poi qualcuno in Parlamento volesse chiedersi quali obblighi la sentenza, pure non definitiva, dellaCedu impone all’Italia, la risposta giuridica e non emotiva è che impone un qualche riconoscimento dei diritti che derivano dalle convivenze, ma non impone le adozioni, il richiamo alle norme sul matrimonio, le cerimonie pubbliche, la reversibilità della pensione, radicali innovazioni nella normativa ereditaria. Cioè non impone la Cirinnà.