Ascensione del Signore
Non spettatori di una partenza ma testimoni di un incontro
(Atti 1,1-11; Ebrei 9,24-28; 10,19-23; Luca 24,46-53)
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio”.
Gli apostoli, benché hanno assistito alla dipartita di Gesù, che è asceso al cielo, tornano a Gerusalemme “con grande gioia”. Anche una partenza, una assenza fisica, possono essere vissute con serenità. Ma questo accade quando nel cuore sono state depositate delle certezze. È vero che Gesù sale al cielo ma lo aveva detto che era necessario farlo perché avrebbe inviato lo Spirito. Gli apostoli sono felici anche perché hanno ricevuto un compito, una missione di andare a predicare, testimoniare ciò che hanno incontrato, conosciuto e sperimentato.
“Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena” (1 lettera di san Giovanni 1,3-4).
In questi versetti giovannei si delinea il campo di azione di ogni battezzato. Non spettatori di una partenza ma testimoni di un incontro. Ciò che Gesù ha prodotto nella vita, attraverso l’incontro con la sua persona, il suo insegnamento, non deve essere messo sottovuoto, ammuffirebbe, ma deve essere donato. Un dono si dona. Donandolo si rigenera e si moltiplica. Difatti dall’annuncio degli apostoli ad oggi, il numero dei credenti è aumentato, si è amplificato anche se non ancora raggiunge tutto il genere umano.
Molto dipende dalla tiepidezza della nostra testimonianza, dallo scarso coinvolgimento o da un errato modo di professare la fede. Non rigide formule o schemi da seguire. Non sterili e formali gesti ripetitivi, addirittura, talvolta, quasi scaramantici. Questa non è fede. È sterile e riduttivo modo esteriore, periferico al cuore. Testimoniare significa evidenziare ciò che custodiamo nel cuore. Ciò che l’esperienza con Cristo ha generato in ciascuno di noi. La relazione che è nata diventa non ossequiosa, schiava, suddita, ma libera, necessitante di incontrare. L’amore chiama non costringe. Nasce in chi ama e si sente amato la necessità di donarsi e di ricevere. È una mutua arricchente esperienza di travaso. Interscambio. Ricevo e dono. Ricevo per donare. Dono per amare.
L’habitat naturale della relazione di fede è l’amore. E l’amore si esprime tra cuori palpitanti e non tra un cuore e una verità astratta per quanto nobile come le verità che condiscono la fede. Per gli apostoli, ai quali è accaduto che dopo il rifiuto, l’abbandono, hanno capito che Gesù ha riempito il cuore, anche se ora si allontana da loro, sono nella gioia. Vogliono continuare la sua stessa opera perché gliel’ha chiesto Gesù stesso che ha “trasferito” ad essi i suoi stessi poteri.” A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Matteo 28,16-20).
Ecco delineato il compito di ogni cristiano. Dipende da ognuno di noi, dalla nostra credibilità, la propagazione della fede. Non è un compito, una missione riservata agli addetti al lavoro ma tutti siamo operai della vigna del Signore anche se iniziamo in diverse ore del giorno e con diversi entusiasmi e motivazioni. L’importante è sentirci partecipi, coinvolti. Testimoni non del nulla o di una idea, ma di Cristo incontrato ed esperito. Occorre narrare la vita e non le teorie.