«Questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». Così il testo del rito della consacrazione traduce, nel Messale italiano, il latino “pro vobis et pro multis”. Perché si è scelta questa traduzione? Don Stefano Tarocchi spiega le motivazioni bibliche su cui si basa.
Gradirei sapere qual è la ragione per cui la consacrazione del pane differisce, in parte, da quella del vino: la prima dice «…questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi», mentre dopo dice «…questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». Parrebbe che il sacrificio di Cristo sia di redenzione per tutti solo con lo spargimento del suo sangue. Addirittura nella formulazione latina veniva detto «…qui pro multis effundetur…» cioè soltanto per una parte di umanità.
Giuseppe Chelli
Rispode don Stefano Tarocchi, docente di Sacra Scrittura
La domanda posta dal lettore per sé esigerebbe anzitutto un lavoro molto complesso sui testi evangelici di Matteo, Marco e Luca, e della prima lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi, che ci trasmettono il racconto della cena di Gesù avanti la Passione, con le parole che ha usato sul pane e sul vino. I gesti e le parole di Gesù aprono la mente dei discepoli al significato degli eventi che si stavano preparando fino alla morte sulla croce, ma donano anche il senso di quanto viene compiuto ogni volta che i discepoli rinnovano i suoi gesti e ripetono le parole di Gesù, in obbedienza al comando «fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24).
Quando noi riprendiamo le parole del Signore attraverso le formule che usiamo normalmente in ogni celebrazione eucaristica ci inseriamo in un percorso che attraversa tutta la storia del cristianesimo. Il testo liturgico raccoglie in uno solo quattro testi differenti, rispettivamente di Marco e Matteo (la tradizione di Gerusalemme) e di Paolo e Luca (la tradizione di Antiochia). Il testo più antico è quello che san Paolo trasmette ai Corinzi.
Per di più, noi usiamo nella lingua italiana la traduzione del testo ufficiale latino del messale di Paolo VI, di cui abbiamo visto recentemente l’ultima versione italiana, in cui ci sono stati alcuni cambiamenti ma non sono state toccate le parole sul pane e sul vino. Veniamo allora a quello che ci chiede il lettore. Circa le parole sul pane, va detto che la sola versione italiana aggiunge il termine «sacrificio», che per la verità non c’è nel testo latino, e nemmeno nelle parole degli evangelisti e dell’apostolo Paolo: «questo è il mio corpo offerto per voi».
Quella sola parola («per») cerca di rendere nella nostra lingua il termine originale, che racchiude l’offerta della vita di Gesù per ciascuno di noi.
Quanto alle parole sul calice, tutti e quattro i testi riportano il richiamo al sangue dell’alleanza «versato per molti». Peraltro, il solo Vangelo di Matteo aggiunge: «per il perdono dei peccati». Allora veniamo alla questione fondamentale posta dal lettore: che cosa significa «per molti»?
È vero che il testo latino, su cui si fonda la versione italiana, dice appunto pro vobis et pro multis, ovvero «per voi e per molti». Ma quale senso dobbiamo dare a questa espressione? Un senso esclusivo o in senso inclusivo?
La tradizione sinottica è sostanzialmente concorde nel riferirsi al massimo dono che Cristo può fare: il dono per le moltitudini («i molti»). L’espressione usata dal solo Matteo – «versato per molti per il perdono dei peccati» – riprende quella usata nel solo Vangelo di Marco, a proposito del battesimo di Giovanni, che «proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati». Di fatto, Matteo ha spostato il riferimento alla remissione dei peccati dall’orizzonte battesimale – come invece fanno Marco e Luca – a quello della cena.
Esiste tutta una serie di testi nel Nuovo Testamento che interpretano in senso inclusivo l’espressione «molti» di cui parlano Marco e Matteo. Ne elenchiamo alcuni: 1 Tim 2,6: «ha dato se stesso in riscatto per tutti»; Ef 5,2: «Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore»; 2 Cor 5,14: «L’amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno morì per tutti»; Rom 8,32: «Egli, non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi»; Gv 6,51b: «il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Già Isaia diceva, a proposito del servo del Signore: «dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò gli darò in eredità le moltitudini, e distribuirà il bottino insieme ai potenti, perché ha offerto sé stesso alla morte e fu computato fra i malfattori. Egli invece portò il peccato di molti ed intercedette per i peccatori» (Is 53,11-12). Nel Vangelo di Marco, peraltro, ci sono anche queste parole di Gesù: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Ma quest’uso, pari a quando il Vangelo dice «Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni» (Mc 1,34), indica una moltitudine di persone, a prescindere dall’affermare semplicemente che tutti i malati sono stati risanati.
Così ebbe a dire papa Francesco poche settimane dopo la sua elezione: «Il Signore, tutti, tutti ci ha redenti con il sangue di Cristo: tutti, non soltanto i cattolici. Tutti! ‘Padre, gli atei?’. Anche loro. Tutti! E questo sangue ci fa figli di Dio di prima categoria! Siamo creati figli con la somiglianza di Dio e il sangue di Cristo ci ha redenti tutti! E tutti noi abbiamo il dovere di fare il bene. E questo comandamento di fare il bene tutti credo che sia una bella strada verso la pace. Se noi, ciascuno per la sua parte, facciamo il bene agli altri, ci incontriamo là, facendo il bene, e facciamo lentamente, adagio, piano piano, facciamo quella cultura dell’incontro: ne abbiamo tanto bisogno. Incontrarsi facendo il bene. ‘Ma io non credo, padre, io sono ateo!’. Ma fai il bene: ci incontriamo là!» (Omilia alla Domus Sanctae Marthae del 22 maggio 2013).
Potremmo riassumere così. Gesù nel momento in cui pronuncia le parole sul pane e sul vino pensa alla sua imminente uccisione: dall’idea del «sangue versato», che richiama il tema del sacrificio, si ha qui l’affermazione che la morte di Gesù assume valore di espiazione universale. Ma è vero anche che l’apostolo Paolo «quando parla della morte di Gesù non usa mai il termine “sacrificio”. Paradossalmente userà il termine sacrificio solo nella lettera ai Romani 12,1-2, per parlare della vita dei cristiani, non della morte di Gesù: «vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto». Questo perché Gesù, come si dirà nella lettera agli Ebrei, ha patito fuori della porta (Eb 13,12), «in un luogo profano» (R. Penna).
Tutto questo perché «colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2 Cor 5,21): così tutti gli uomini hanno così accesso alla salvezza.