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II Domenica di Natale – Anno A – 5 gennaio 2019

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II Domenica di Natale

L’accoglienza è un grembo sempre genesiaco

(Siracide 24, 1-4.8-12; Efesini 1, 3-6. 15-18; Giovanni 1,1-18)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me». Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.”

L’accoglienza è un grembo che genera sempre, dona vita. Il prologo del vangelo di Giovanni afferma: “Venne fra i suoi,
e i suoi non l’hanno accolto.
A quanti però l’hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio”. Il cuore di chi sa accogliere diventa grembo, culla. Ogni volta che siamo capaci di accogliere, di sicuro, generiamo in chi sente accolto, gratitudine, risoluzione dei propri problemi, approdo nella speranza. L’accoglienza è uno dei fratelli minori dell’amore. Attraverso di essa si esprime, fattivamente, che una persona la si ama, le si dà la possibilità di azione, ma, soprattutto non la si lascia orfana, senza patria.

Quando si è in cerca di qualcuno e non si trova soluzione, quando si è in cerca di lavoro, di relazioni, di sollievo, di condivisione e tutte le porte rimangono chiuse e tutti i cuori sono riluttanti allora si auto genera la disperazione. L’unico modo per risolvere e spezzare la catena che imprigiona in se stessi è ricevere il calore dell’accoglienza.

Immaginiamo “i viaggi della speranza” intrapresi da tanti fratelli in cerca di un lavoro, di una patria che poi trovano la loro tomba nel mare e tutto s’infrange sugli scogli di un’isola sperduta, o, peggio, immaginiamo che trovino le barriere di cuori indisposti ad accoglierli che delusione per loro ma anche che sterilità per chi non diventa grembo! “Accogliere: parola che sa di porte che si aprono, di mani che accettano doni, di cuori che fanno spazio alla vita, come una donna fa spazio al figlio che accoglie in grembo”.

Come si rivendica la sacralità ed intangibilità della vita una volta generata, considerando l’aborto un omicidio, così si dovrebbe, parimenti, pensare che chi respinge un fratello pratica una sorta di aborto relazionale, una violenza e una  indifferenza che violano e spengono le speranze di chi è in cerca di un grembo per aggrapparsi e svilupparsi.

Al contrario: chi vive la sfida dell’accoglienza prova la gioia della maternità e paternità per via di quello che genera negli altri e per la luce che illumina la sua vita.

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