V Domenica di Pasqua
Gesù vero maestro nell’arte d’amare
(Atti 14,21-27; Apocalisse 21,1-5; Giovanni 13, 31-35)
Ascoltiamo il Vangelo:
“Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri»”.
Amore!
E’ una delle parole più usate ma, talvolta, anche abusate. Quando è pronunciata male “brucia le labbra” dicevano i rabbini. Ma quando è tradita, interpretata in modo improprio, abusata, addirittura rischia di diventare devastante, distruttiva. L’amore è un’arte. Tutti crediamo d’esserne maestri, pochi si professano, umilmente, allievi. Avere fame d’amore, sentirsi in debito d’amore, chiedersi come amare, tormentarsi per non aver amato abbastanza, questo è vero amore. “La misura dell’amore è non avere misura” affermava sant’Agostino. Certo! Mica si può mettere un confine all’amore, non lo si può imbrigliare, imprigionare la sua meta è sempre la sazietà per l’altro, la sua propulsione è raggiungere tutti, la sua testimonianza è non escludere nessuno, la sua preferenza sono coloro che non hanno nulla con cui ricambiarti, il suo eroismo è amare chi non merita, anzi demerita. Il suo vertice è dare la vita, cioè se stessi per il bene dell’altro.
L’Everest dell’amore è la croce di Cristo, perciò, ci invita ad amare come ha fatto lui. Praticando il suo esempio saremo come Pollicino che seguendo le briciole seminate nel percorso ritrova la strada di casa. Come l’eponimo e proverbiale filo che Arianna diede a Teseo, di cui era innamorata, che gli permise di poter segnare la strada percorsa nel labirinto per uccidere il Minotauro e quindi uscirne agevolmente. Gesù è il nostro esempio da seguire, il termine di paragone da avere presente per poterci esprimere nell’arte dell’amore e raggiungere i suoi vertici.
Nel comandamento nuovo che ci consegna ci chiama ad amarci “gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. E’ veramente nuovo, scandalosamente innovativo, l’invito di Gesù. Non amare più solo chi merita, ma tutti. Per quello e per come sono. Le persone vanno amate solo perché esistono, le incontriamo, le cerchiamo, ci relazioniamo con loro. L’amore non si merita ma si accetta. Dio, in Gesù, ci ama non per i nostri meriti, non perché belli, non perché ricchi, ma solo ed unicamente perché figli. Non amare emozionalmente ma concretamente, non intenzionalmente, “ma con i fatti e nella verità”.
Ogni scelta d’amore per il nostro prossimo ci spinge a vedere nell’altro non un oggetto ma un maestro, un signore che ci spinge a lasciarci “abitare dalle ricchezze dell’altro”. La sofferenza, la povertà, l’esclusione, la paura, quando sono avvicinate da noi perché incontrate negli altri diventano ricchezza per noi. Sazietà per la nostra vita. Gesù ci stimola ad amare non quanto, ma, come, Lui. Nella quantità Dio ci supera ed umilia sempre perché non lo potremo mai raggiungere, nella qualità gli possiamo assomigliare. Anzi ogni volta che lo facciamo diventiamo un raggio, una emissione del suo essere amore per gli altri. “I cristiani non sono quelli che amano (lo fanno in molti sotto tutte le latitudini) ma quelli che amano come Gesù: se io vi ho lavato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, i vostri signori… Come Lui, che non solo è amore, ma esclusivamente amore” (Ermes Ronchi). Tutto l’amore!