IL VANGELO STRABICO
I Domenica di Avvento – B
(Isaia 63,16-17.19; 64, 2-7; 1 Corinzi 1,3-9; Marco 13, 33-37)
A cura di Benito Giorgetta
Disseppellire la speranza e togliere gli ormeggi per approdare a Dio
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!»”.
A tutti è capitato di passare delle notti insonni. Un’attesa, un tormento, una gioia forte, una vigilia. L’animo è talmente colmo e pervaso dall’attesa che il sonno sembra essere sparito. Un cuore in attesa, in genere, è abitato dalla speranza ed alimentato dal sogno.
Il vangelo ci invita ad avere atteggiamenti analoghi in relazione all’attesa di Gesù che deve tornare. Il verbo dominante è vegliare. Come dire: speranza. Davanti a noi si dischiude una prospettiva, una direzione, un approdo. Non l’appiattimento, non lo scoramento, la delusione, ma la progettualità. Anche quando sembra che siamo mortificati dalle sconfitte, quando il cuore tormentato sembra non avere e trovare pace, anche allora, occorre ridirci che dopo la notte non può che sorgere il sole. L’importante è che l’uomo, io, tu, non dobbiamo sentirci autori solitari ed indiscussi delle nostre scelte. Tutto ciò che facciamo deve essere compiuto a quattro mani: quelle dell’uomo e quelle di Dio. La mia volontà, le mie forze, ma fecondate dalla grazia e dall’amicizia di Dio. Anche un seme gettato a terra in sé contiene tutte le potenzialità, il vigore di un albero maestoso che rallegra con i suoi frutti, ma necessità dell’umidità del terreno e della fecondità dell’acqua per esplodere.
Tutto con Dio, nulla senza di lui. L’anima della speranza e la tensione a cui essa ci chiama è contenuta in ciò che si vuole raggiungere e realizzare. E l’uomo è inquieto fino a che non riposa in Dio, traguardo di ogni impegno e approdo di ogni partenza. Sant’Agostino ammoniva: “… Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te…”. Dio come partenza ed arrivo. Vigorosa partenza ed estenuante arrivo, ma sicuro approdo.
L’altro verbo tipico del tempo liturgico dell’avvento è: “attendere”, ci ricorda di essere ugualmente impegnati nell’ attesa attenta e vigilante. L’attesa presuppone l’amore per le piccole cose per i sussulti, per i respiri lievi ed impercettibili, per i semi di bene che ci sono attorno a noi. Attenti alla presenza degli altri. Attenti a bandire dalla nostra cultura l’indifferenza, l’esclusione, la sopraffazione, il giudizio. L’altro non è mai un concorrente da battere ma qualcuno con cui unire le forze, fondere le speranze, creare alleanze sinergiche per il bene comune e la valorizzazione di tutti. Ci sono, nella vita di coloro che incontriamo, delle ricchezze inesplorate e sconosciute da valorizzare, da condividere. Anche i silenzi, le domande, i tormenti nascosti e di cui si ha pudore, molte volte sono ricchezza che trabocca dal cuore colmo, ma noi non riusciamo ad apprezzare e incrociare perché troppo distratti e attratti dalle grida, distratti dalle apparenze e ingannati dai pregiudizi. Solo l’attenzione e la vigilanza ci portano ad essere lettori attenti e operosi, per fare della propria esistenza un capolavoro da esporre nella pinacoteca della vita unitamente a tutti gli altri capolavori di cui è portatore ogni singola persona. Ecco l’avvento, il tempo per abbreviare le distanze, disseppellire la speranza, togliere gli ormeggi e, animati dalla gioia dell’attesa, intraprendere il viaggio che ci porterà agli altri per approdare tutti in Dio. E’ iniziato il cammino.