Tutti cerchiamo il segreto della vita. Un deposito infinito di miti, leggende, narrazioni, ci mette in contatto con la voglia insopprimibile di trovare l’ingresso nel mistero: l’Odissea, il Santo Graal, la Commedia di Dante, sono esempi di un tempo dedicato alla scoperta della chiave in grado di aprire quella porta. L’uomo attraversa mari e monti per saziare la sete di terre sconosciute: Marco Polo, Cristoforo Colombo, miriadi di noti e ignoti viaggiatori stanno lì a testimoniarlo.
Nel nostro piccolo, anche noi ci scopriamo percorsi da un’ansia insopprimibile di novità: nella scelta di un nuovo ristorante, nelle sortite tra gli scaffali polverosi di una vecchia biblioteca, nell’ascolto di un brano musicale mai sentito prima. L’inedito ci attrae, perché il vecchio ci ha deluso, ha mostrato il suo lato perituro, la scadenza imminente, la sconfitta di chi non può essere diverso da se stesso.
Il punto è questo: riteniamo invalicabile la soglia dell’io. Ma il Vangelo scommette sul contrario: quel limite si può oltrepassare, l’io è una porta aperta sulla scena dell’altro, sullo sguardo che vedi spalancarsi, avanti a te, fissarti, come t’avesse da sempre conosciuto. Chi è che ti libera, guardando scorrere il film della tua vita, medicando e guarendo, ridando il giusto peso agli strappi e alle ferite della storia personale?
Chi dice la gente che io sia? Chiede il Cristo ai discepoli. È l’inizio di una nuova coscienza, l’attimo in cui l’io sperimenta l’occasione di trascendersi, di perdersi anche solo un istante nello sguardo che ha stregato Zaccheo sulla strada di Gerico, Matteo seduto al banco delle imposte, lo zelota pentito sul Calvario.
E voi, chi dite che io sia? Gli occhi del Cristo sono, furono e saranno il segreto della vita, il rischio accolto come unico accesso alla terra promessa da sempre.
Non facciamoci sviare da chi vuole collocarci stabilmente nei possessi dell’io. Lasciamoci convincere che la vera soluzione è perdersi negli occhi del Cristo, nel ritratto del Creatore, metro e misura di ogni autentica e credibile traccia dell’Essere nel mondo. Pregare è vedere quegli occhi, con quegli occhi, nel silenzio che è il luogo di Dio. Pregare è sorprendere il mistero nell’unico sguardo che lo può squarciare.