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giovedì, 7 Novembre 2024
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La morte non è la fine ma il compimento

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Commemorazione dei fedeli defunti

 (Sapienza 3,1-9; Apocalisse 21,1-5a.6b-7; Matteo 5, 112a)

La morte non è la fine ma il compimento

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli»”.

La commemorazione dei fedeli defunti è un momento d’intensa vita ecclesiale non solo perché ci dona la possibilità di esprimere la nostra fede nella risurrezione, ma anche e soprattutto perché apre il cuore alla celebrazione della comunione dei santi che ci lega continuamente con coloro che ci hanno preceduti nel raggiungimento del traguardo. Sappiamo bene che la nostra vita è un cammino esodale, siamo pellegrini. E’ in atto un trasferimento, un pellegrinaggio verso la vita quasi fossimo mendicanti permanenti in attesa di raggiungere la meta. Il compimento e la fine dell’esodo è dato dalla triste e devastante esperienza della morte. E’ una condizione ineludibile. E’ la conseguenza del peccato. San Paolo scrivendo ai romani ce lo ricorda quando, lapidariamente, afferma: “il salario del peccato è la morte”, ma si premura di aggiungere: “ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore” (Romani 6,23). La tristezza, la sconfitta, la paura della morte, sono  illuminate dalla speranza, dalla certezza che in Dio c’è vita eterna. La parola stessa Signore, Kyrios in greco, significa portatore di vita. Evidentemente di una vita permanente, duratura, eterna.

            Oggi la morte, nonostante è stata, è, e rimarrà una triste realtà, viene esorcizzata, quasi non la si pronuncia neppure. Si preferiscono eufemismi. “Non è più tra noi”, “è passato a miglior vita”, “è andato via” e altre espressioni simili. La morte fa parte della vita nel senso che come comunemente si dice “siamo nati e dobbiamo morire” è anche vero che, per i cristiani, la morte è la porta che immette nella vita. Si può affermare che la tomba è la culla della vita. Non è vita quella che riteniamo vita ma è vita quella che troviamo nella morte vinta dalla risurrezione. Questo è il vero esorcismo della morte. L’antidoto della morte è la vita in Cristo. Le beatitudini evangeliche sono una pista, un punto di riferimento. Quella vita futura annunciata nella risurrezione la si accende già nel presente, vivendo da cristiani che vogliono cercare, sperimentare, fare esperienza di vita vera in Gesù.

Tutto questo sarà possibile solo se nel nostro agire, nelle nostre scelte ci mettiamo quel briciolo e quel lievito di eternità che ci fa guardare oltre. Ci fa guardare lì dove sarà la nostra stabile dimora. Come lo scalatore cammina per arrivare alla sommità, il corridore per raggiungere il traguardo. Come la donna incinta attende la nascita del figlio, così, l’uomo pellegrino in questo mondo, deve camminare, raggiungere, attendere l’eternità. Ma questa si compie nella morte. “Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno viene preparata un’abitazione eterna nel cielo”. Recita così il primo dei prefazi per la celebrazione eucaristica dei defunti. La mappa di questo percorso la dona il vangelo odierno delle beatitudini. Allora “Alzatevi, andiamo!” (Marco 14,42) “all’altra riva” (Matteo 8,18), accendendo il presente. Anzi incendiandolo di opere vere, misericordiose, di consolazione, di giustizia, di persecuzione accolta per amore del vangelo. “Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Marco 5,12a). Ecco il futuro illuminato.

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