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sabato, 21 Dicembre 2024
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Dio crede in noi più di quanto non lo facciamo noi stessi

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XXXIII Domenica Tempo Ordinario 

Dio crede in noi più di quanto non lo facciamo noi stessi

 (Proverbi 31,10-13.19-20.30-31; 1 Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25,14-30)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Che fiducia ha questo quest’uomo che, partendo per un viaggio, affida le sue risorse ai servi. A ciascuno secondo quanto ha dimostrato di saper fare. Tutti, spronati da tanta considerazione, si adoperano per far fruttare la risorsa ricevuta. Uno solo, per paura, nasconde ciò che ha ricevuto in dono. Alla resa dei conti, infatti, tutto viene riconsegnato al legittimo proprietario con la soddisfazione da parte di chi ha ricevuto cinque o due talenti, d’aver implementato in misura corrispondente i talenti ottenuti. Solo colui che ne aveva ricevuto uno solo di talenti, non avendolo trafficato e moltiplicato si giustifica criticando il suo stesso padrone: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Intonso.

Atteggiamento sterile il suo che viene punito a motivo della sua immobilità, incapacità o non voglia di darsi da fare. Gli altri, visto il risultato ottenuto per essersi impegnati, vengono lodati e premiati. 

Continuamente Dio dona ed esce di scena. Ci ha consegnato il mondo con i suoi beni. La bellezza della terra con le sue risorse. La vita e la salute. Ci ha dotati di intelligenza e di sacralità, sua “immagine e somiglianza”. Ci ha resi suoi figli nel battesimo. Tutto nella nostra vita è grazia e benedizione. Dono. Ma noi che ne abbiamo fatto? Stupidamente continuiamo a chiedere altro. Famelici e insensibili come siamo. Non ci accontentiamo. Consumiamo solo tutto ciò che ci è stato dato in custodia. Sfruttiamo la situazione a nostro esclusivo ed egoistico vantaggio. Miopi. Non guardiamo il futuro ma ci crogioliamo nella beatitudine del presente. Viviamo in modo godereccio. Volutamente inconsapevoli che c’è un futuro. Che prima o poi dovremo rendere conto  che la vita, con tutti gli accessori che abbiamo ricevuto, va restituita, ma trasformata, implementata, arricchita.

Dio crede in noi. Ha fiducia in noi più di quanto non lo facciamo noi stessi. Ci affida tante risorse. Vorrebbe gioire con noi e rallegrarsi per il successo raggiunto tramite i suoi doni. A chi lo fa, dona ulteriormente e sorprendentemente altro. La fiducia si moltiplica. I servi vorrebbero restituire, Dio non vuole. Lascia tutto a noi perché ci ama. E chi è restato immobile? La parabola insegna che è meglio fare e sbagliare e no non sbagliare perché non si è fatto nulla. L’immobilismo paralizza. Il sapersi dar da fare corre il rischio di non riuscire, ma almeno si è provato. E Dio mai chiede più di quanto non ci abbia già dato. Occorre fiducia. Occorre donare per avere perché tutto ci è stato donato. Questa è la geometria del dono: ricevere, moltiplicare, donare.

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