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sabato, 21 Dicembre 2024
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La morte non è la fine ma il compimento, il raggiungimento del fine

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Commemorazione dei fedeli defunti

La morte non è la fine ma il compimento, il raggiungimento del fine

 (Isaia 25,6a.7-9; Romani 8,14-23; Matteo 25,31-46)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna»”.

La morte non è la fine ma il compimento, il raggiungimento del fine. “Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata” (dal prefazio I della liturgia funebre).  Come i fiumi che si riversano in mare e non vengono distrutti ma trasformati perché tutti fanno parte della stessa immensità dei mari e degli oceani, cosi la vita dell’uomo che approda a Dio continua ad esistere, trasformata, per tutta l’eternità. Dio, autore e generatore della vita, non partecipato questo dono all’uomo con data di scadenza. L’uomo è stato creato per esistere in Dio. Certo la vita biologica, quella di tutti, indistintamente, ricchi o poveri, giovani o anziani, europei o terzomondiali, sapienti o analfabeti, ecclesiastici o laici, direttori o operai, un giorno cesserà. La vita spirituale, l’anima, sopravviverà e resisterà all’usura del tempo perché destinata all’eternità.

Tanto è vero tutto questo che il vangelo ci parla di un esame da sostenere al termine della vita quando vedremo Dio “faccia a faccia”. “ Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra”.

Saremo esaminati sull’arte più difficile da vivere e quella maggiormente identificativa di Dio stesso. Saremo esaminati sull’amore. Sulla capacità d’aver prestato attenzione alle fragilità, alle condizioni bisognose degli altri. Ci sarà chiesto se avremo scomodato noi stessi per portare sollievo, conforto, consolazione a chi ne aveva più bisogno di noi stessi. Dio si identificherà negli affamati, assetati, stranieri, nudi, malati, carcerati. Se lo avremo fatto ci sarà detto “lo avete fatto a me” come pure “non lo avete fatto a me” se risulterà la durezza del nostro cuore. Tutto questo ci dimostra che l’aldilà inizia già da questa vita. Che questa vita confluirà nell’altra ma trasformata. Intanto il futuro cova nel presente. E noi siamo chiamati a realizzarlo da ora proiettati nell’al di là dove ci attende colui che da sempre e per lo sempre lo “abita”.

La morte porta con sé una scia di dolore, genera sofferenza, distacco, mancanza. Si piange perché vengono a mancare gli affetti più cari. Quelli fondativi, generativi la nostra vita. Si spezzano i legami, si dissolvono le relazioni, scompaiono le ambizioni. Tutto questo è squisitamente umano. Ci fa comprendere la nostra finitudine. Il confine del nostro raggio d’azione. Dobbiamo, altresì nutrire forte in noi, la speranza che non tutto si dissolve. “I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno mai” ci ha assicurato un giorno Gesù.

E nelle sue parole ci sono semi di eternità, promesse di vita oltre la morte. Ce ne ha dato anche la prova: ha messo a morte la morte ridandole vita. Di questa vita saremo eredi come siamo stati eredi della colpa di origine. Ma alla fine vince sempre il bene. Vince la vita. Vince Dio.

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