XXX Domenica Tempo Ordinario
“Amerai…. “ un verbo che disegna un futuro e colora di gioia la vita
(Esodo 22,20-26; 1 Tessalonicesi 1,5-10; Matteo 22,34-40)
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»”.
Gesù veniva continuamente assaltato da tutti. Alcuni lo volevano vedere, conoscere. Altri esaminare. Altri ancora metterlo alla prova. Pochi erano coloro che davvero credevano in lui. Questi erano i poveri, i malati, i forestieri, gli scartati. Un po’ perché nessuno li trattava, Gesù, invece, si intratteneva con loro e spesso, elogiandoli, li guariva. Gli scribi e i farisei, i dottori del tempo certamente lo provocavano per coglierlo in contraddizione e avere appigli per accusarlo per deferirlo dinanzi al popolo. Lui conosce cosa tramano contro di lui e, puntualmente, li smaschera.
Ancora una volta, con una scusa, gli si avvicinano per chiedergli di risolvere una questione alquanto interessante per loro. Un esperto della legge, la massima autorità in merito, deridendolo, perché lo chiama maestro, gli chiede di esporre quali sia il primo e il più grande comandamento. Certo ne avevano ben oltre 365, cioè una per ogni giorno, occorreva una preferenza.
Gesù non si scompone, ascolta. Accoglie la richiesta. Risponde. Esce dalla loro logica, dai loro schemi e dice: “amerai…..”. Un verbo che disegna il futuro e colora di gioia la vita. Amare è l’arte più antica e più nobile. Più necessaria e, forse meno conosciuta e praticata. Gesù glielo ricorda. Perché amare è portare se stessi fuori dal proprio mondo, dal proprio tornaconto. Amare è esportare la le proprie energie per depositarla nella vita di chi ha maggiormente bisogno. Gli scribi, i farisei, i sadducei, i dottori della legge, da Gesù ben conosciuti, invece fanno la dogana dei sentimenti sequestrandoli e dirottandoli solo su se stessi. Sul loro successo ,sulla loro affermazione personale. Non importa se a discapito di altri. Erano auto referenziali. Celebravano se stessi. Credendo di incensare Dio incensavano la loro gloria, la loro smania di grandezza, il loro egoismo. Erano ubriachi e concentrati sul loro ombelico. Tanto famelici di gloria, quanto scarsi di capacità affettiva, di promozione e rispetto degli altri.
Perciò Gesù con un solo verbo iniziale li mette in strada. Denuncia una loro mancanza, indica un percorso, fa intravvedere un futuro. Il tutto si concentra su Dio a cui, inevitabilmente occorre dare il primato. “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Senza risparmio, Senza badare a Spesa. Casomai operando un cambio di prospettiva. Una sostituzione di ruoli. Non più e non solo “io” ma aggiungendo una D, cioè “Dio”.
Ma il suo insegnamento non termina qui. Innestandolo su questo ne genera un secondo. Del tutto simile e conseguenziale al primo. “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Una questione d’amore dunque. Non sterili codici, da interpretare, in cui districarsi. Da cui liberarsi. Ma semplicemente, stupendamente amare. L’arte più nobile, più ancestrale, primaria di ogni essere umano. Amare.
Si, amare! Purificando se stessi e avendo a cura e a cuore chi e come amare. Prima di amare però, occorre essere amati, farsi amare, sperimentare l’estasi dell’amore per poter a nostra volta ricambiare, vivere, interpretare un’arte nobile come quella di amare. Noi amiamo perché siamo stati amati. Noi dobbiamo amare perché abbiamo ricevuto l’amore. “Dio è amore”. Lui è la forza sorgiva, infinita, inesauribile dell’amore. Lui ci ha amati per primo. Porta custodito, nel palmo della sua mano, il tatuaggio del nostro nome. Siamo per lui preziosi. Amarlo sopra ogni cosa, prima di ogni altra cosa, più di tutte le cose e le persone, è un dono poterlo fare. È una grazia sperimentarlo. Amare dio è una restituzione, meglio: è una risposta alla sua provocazione. Ed è certamente bello vivere di abbracci inclusivi, esclusivi, totalizzanti. L’amore è il motore che fa scattare ogni relazione e la benzina che alimenta ogni respiro. “Shemà Israel”, ascolta Israele. Dio richiama la nostra attenzione perché ascoltiamo per amarlo e amandolo ci amiamo gli uni gli altri. Nulla è di più necessario e prezioso nella vita. Ma nella risposta di Gesù pare ci sia un terzo comandamento: “come te stesso”. Occorre amarsi per amare, occorre essere amati per amare. L’importante è che questi “tre” sono concentrici e conseguenziali. Dio, il prossimo noi stessi. Auguriamoci che ii dottori della legge abbiamo compreso e auguriamoci che lo abbiamo compreso anche noi. Se si, occorre viverlo.