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sabato, 21 Dicembre 2024
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La forza gravitazionale della croce di Cristo – Venerdì Santo  

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Venerdì Santo  

La forza gravitazionale della croce di Cristo

(Is 52, 13 – 53, 12; Ebrei 4,14-16; Giovanni 18, 1-19,42) 

Ascoltiamo il Vangelo:

“…Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”».  Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

Si sono divisi tra loro le mie vesti
 I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!».  E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete».  Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!».  E, chinato il capo, consegnò lo spirito.”

La nostra fede si poggia su un atto d’amore. L’esperienza più bella del mondo: essere amati e amare. La croce, quella su cui Cristo si è adagiato, quella che lui ha indossato come un vestito, è l’atto d’amore perfetto. È un amore apicale. Di più non è possibile perché oltre il tutto c’è solo l’infinito. Per l’uomo la totalità è il tutto per Dio è l’infinito e Dio ci ama all’infinito. La croce è il suo alfabeto. Il sangue è la scrittura. L’amore sconfinato il suo orizzonte.

La croce, sulla quale Gesù sale in obbedienza al padre, è il segno massimo dell’amore. E l’amore ha una forza attrattiva potente. Calamitante. Ha una capacità di attirare a sé incredibile. La forza gravitazionale che emana Cristo crocifisso è unica, potentissima, insuperabile. “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12, 20-33). La croce è composta da due legni infissi nel suolo: uno verticale ed uno orizzontale. L’amore conosce questa geometria, si esprime in questo modo. Dio, amore infinito, riversa il suo amore verso ogni uomo: ecco il legno verticale a simboleggiare che l’amore genuino discende da Dio riversandosi su di noi. Questo amore accolto ed esperito non è mai un amore perfetto se non conoscerà anche la dimensione orizzontale. Ecco l’altro legno trasversale a quello piantato in terra. L’amore, accolto dall’alto, deve essere condiviso, partecipato agli altri. L’intersecazione dei due pali sta a significare che le due dimensioni sono inscindibili. L’uno non si regge senza l’altro.

Non possiamo essere egoisti e volere per noi l’amore di Dio e poi non condividerlo con gli altri. Per sua natura l’amore è effusivo e diffusivo. Non può essere imprigionato o rimanere riduttivamente stazionario, residenziale nella vita di chi lo fruisce. Se non si dona si consuma. Come l’acqua che ristagna. Non rinnovandosi, non riversandosi, imputridisce. Così è di qualsiasi cosa che viene trattenuta e consumata solo per sé stessi. Si estingue. Se invece viene donata si moltiplica.

La croce di Cristo è una provocazione nella vita e nella storia degli uomini. Scandalo per chi non crede, salvezza per chi ripone la sua fiducia in essa. Dio inchioda sé stesso sulla croce per raccontarci quanto e come ci ama. Bastava che ci perdonasse invece per darcene la sicurezza si immola per noi. Paga lui il debito, il riscatto per la nostra liberazione. Straccia il documento del nostro debito: il peccato. Lo fa con generosità, con convinzione. A coloro che, deridendolo, lo sfidano a scendere non dà retta, anzi, alza l’asticella li perdona e li scusa. “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Amore grande, amore vero, amore donato e depositato, stampato sul legno della croce. Unico albero che, senza radici, produce il frutto più necessario: il perdono, la remissione dei peccati. Quelle braccia distese sono sempre spalancate per poter abbracciare chiunque si avvicina e si lascia attrarre.

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