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venerdì, 27 Dicembre 2024
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Quando la fragilità diventa forza sorgiva e testimoniale

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III Domenica di Quaresima

Quando la fragilità diventa forza sorgiva e testimoniale

 (Esodo 17, 3-7; Romani 5, 1-2. 5-8; Giovanni 4, 5-15.19b-26.39a.40-42)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù, dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei, infatti, non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» … Vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così, infatti, il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo»”.

Solo Gesù è capace di miracoli. Non solo quelli evidenti delle guarigioni ma, come in questo caso, un miracolo relazionale. Si sa bene in quale considerazione la cultura ebraica aveva la donna. Purtroppo, quasi un essere inferiore. Certamente non pari in dignità. Mai un uomo “perdeva” tempo a parlare con una donna, per giunta in mezzo alla strada e men che meno le palesava una sua necessità. Gesù, come suo solito, capovolge e stravolge ogni cosa. 

Seduto presso il pozzo di Giacobbe, affaticato, assetato, visto che era mezzogiorno, vede sopraggiungere una donna. Subito interloquisce con lei chiedendole da bere. Oltretutto erano soli. Lei si stupisce, non solo per i motivi culturali di distanza tra uomo e donna ma anche sociali. Era una forestiera. Tanti motivi che, messi assieme, costituiscono un muro. Gesù lo abbate immediatamente con la sua richiesta. Lui punta subito e sempre all’essenziale. Togliere la distanza, smentire le abitudini, aprire una nuova mentalità e modalità relazionale.

Inizia il dialogo. Si percepisce subito che la sete di Gesù non è solo quella di acqua, ma soprattutto della persona che gli è innanzi. Vuole sovvertire l’ordine relazionale. Vuole liberare la cultura del tempo dall’ottusità e dalla grettezza. Non conta la condizione sessuale e la provenienza geografica. Non le differenze ma le uguaglianze nella convivialità delle differenze. Il dialogo entra nel vivo. Gesù guarda dentro di lei, valorizza la sua esistenza. La rende utile, nonostante non fosse né limpida e né semplice. Aveva avuto cinque mariti e quello con cui viveva non era suo marito. Non sentendosi né accusata, né denigrata, si apre, si dischiude come la corolla di un fiore al tepore dei raggi solari. L’amore, la considerazione dell’altro, la valorizzazione delle persone e delle loro risorse rendono nuove le relazioni e pongono le basi per farle diventare stabili e fruttuose.

La sua fragilità, la sua pozzanghera, depurate dall’amore, diventano sorgente. Dissetano. Lei inizia a testimoniare. A raccontare chi ha incontrato e cosa era successo. Fa parlare la sua vita, la sua esperienza. Tutto questo vale più di ogni altro insegnamento. Racconta che ha trovato qualcuno che, nonostante i suoi errori, non l’ha rimproverata anzi, nella pozzanghera della sua vita, trova spazio per bere. “In questo hai detto il vero”. Valorizzare solo quello per partire ed avere tutto. Come l’incendio che parte da una scintilla. Dio della nostra vita pone in evidenza quel poco di buono e di bello che c’è. Parte da lì per iniziare cose nuove. Per restaurare il cuore, per rimettere in moto la vita, per scongelare le chiusure, per suturare le ferite. “Perché la domanda che Gesù rivolge a tutti non è mai: da dove vieni, o: che cosa hai fatto? M sempre: dove sei diretto? Non il passato è la terra di Dio, ma il futuro” (Ermes Ronchi).

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