IV Domenica di Pasqua
Il pastore buono, Gesù, che dà la vita per le sue pecore
(Atti 4,8-12; 1 Giovanni 3,1-2; Giovanni 10, 11-18)
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio»”.
Il linguaggio biblico, sia dell’antico come quello del nuovo testamento, è pieno di simbolismo, di immagini, di parabole. Sono espedienti letterari per farsi comprendere. Evidentemente, per poter apprendere a pieno, occorre avere la chiave di lettura. Anche la cultura e la mentalità del popolo che è stato la culla della sacra scrittura è un altro elemento fondamentale da non sottovalutare per entrare nel complicato linguaggio biblico.
Gesù, che certamente era un abile oratore, nei suoi insegnamenti, cerca di essere vicino alla mentalità, alla cultura di chi lo ascoltava. Per questo, essendo un popolo dedito alla pastorizia e all’agricoltura, spesso mutua da questi due mondi paralleli, esempi, approfondimenti per farsi comprendere da tutti.
E’ il caso del vangelo in cui egli, Gesù, si paragona al pastore, facendo capire che il popolo è il gregge che lui vuole servire, accudire, portare al pascolo. “Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”. Questo insegnamento non è restato orfano di concretezza, Gesù davvero ha dato la sua vita, si è sacrificato, immolato per il suo popolo, il suo gregge. Qui è la novità sostanziale e rivoluzionaria. Da sempre i pastori offrivano alla divinità, per attirarne la benevolenza, i capi dei loro greggi. Era una specie di “dare per avere” per imbonire, per rendere clemente, favorevole la divinità. Era quasi un mercimonio. Mi “compro” il favore di Dio. Lo lego alla mia volontà, lo condiziono alle mie necessità. Gesù fa tutto il contrario. Non più vittime animali, ma lui stesso “vittima di espiazione”, “agnello condotto al macello”, “capro espiatorio”. E, tutto, gratuitamente.
Lui non vuole imbonirci, non vuole soggiogarci, schiavizzarci, legarci a lui, creare o pretendere una sudditanza psicologica. Non chiede nulla in cambio, offre solo. Il segreto? E’ l’amore infinito, sconfinato, gratuito che ha per ogni uomo. D’altronde è tipico dell’amore volere il bene dell’altro ad ogni costo, con ogni prezzo, fino a dare se stessi, la propria vita. Proprio così ha fatto Gesù. “E dò la mi vita per le pecore”. Ma c’è un’ulteriore novità. Gesù non si prende cura solo delle pecore del suo recinto, come giustamente, fa ogni pastore. Lui allarga lo sguardo verso un orizzonte nuovo, allarga i confini, vede oltre. “E ho altre pecore che non provengono da questo recinto”. Prendersi cura degli altri. Di quelli che non la pensano come me, che non credono come me, che non indossano la stessa divisa, che non condividono gli stessi hobby, che non sono della mia stessa nazione, che hanno una sessualità diversa dalla mia. La diversità non è un elemento divaricatore, distanziatore per Gesù. Lui ci insegna ad essere inclusivi, integrativi, collaborativi, a prenderci cura gli uni degli altri.
In effetti chi ama non fa distinzioni, non eccepisce, non pone in evidenza le diversità, ama e basta. Ma non è vero che l’amore ha una capacità dilatativa, altrimenti non sarebbe amore? Allora, come Gesù, il pastore buono ci insegna, abbattiamo i muri, togliamo gli ostacoli, sospendiamo i giudizi, allarghiamo i confini e abbracciamo tutti. Siamo parte dello stesso ovile: l’umanità amata da Dio.