L’Eucarestia è davvero il centro della vita cristiana
L’Eucarestia (la S. Messa) non è una attività come le altre, intendiamo per attività: catechesi, oratorio e varie tipi di proposte educative. Non è come una, pur sempre bella e simpatica, festa del Ciao o Uscita scoutistica o attività ludiche ed educative, una partita di calcetto, una giocata di bocce, una festa da ballo, cose buone, divertenti e anche ‘formative’, ma non sono l’Eucarestia.
Si, vero, se ci vogliamo bene incontriamo Gesù, come lo incontriamo nei poveri, ma l’Eucarestia non è una semplice attività, né filantropica, né tanto meno sociale.
E’ il dono che Lui, Gesù Cristo, ha fatto a noi. E’ un Suo dono per noi e noi in memoria Sua la celebriamo consapevoli della inadeguatezza per il nostro peccato, ma grati per la grazia di così grande sacramento.
L’Eucarestia è fons e culmen della vita spirituale del cristiano che non può essere non solo frazionata, ma neanche pensata come una ‘cosa da fare come le altre’ e quindi anche non farla perché annoia o non è necessaria e utile.
Nell’Eucarestia, nel giorno del Signore (la domenica), come ogni volta che celebriamo, ogni uomo che è uno nelle sue varie dimensioni: corporale, intellettuale, spirituale, affettiva, relazionale ritrova in essa la fede.
L’uomo credente e credibile vive di fede e ha bisogno di esprimerla e in modo umano, coinvolgendo il corpo ma anche lo spirito; e l’Eucarestia realizza la pienezza della liturgia che celebriamo in un mistero che si svela ogni volta che incontriamo Lui: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì ci sono.
L’Eucarestia fa la Comunità e la Comunità cresce e si nutre nella Eucarestia.
Ogni altra attività della Chiesa trova il suo fine e la sua sorgente nell’Eucaristia, che si tratti della predicazione della Parola o delle opere di carità, della celebrazione degli altri sacramenti o della preghiera personale.
Non dobbiamo dimenticarlo, ma per comprendere e vivere ciò, si deve sperimentare il dono spirituale dell’accompagnamento mistagogico che da tempo, molto tempo è stato oscurato e dimenticato. Abbiamo abdicato alla evidenza empirica delle cose passeggere, all’apparenza e non al mistero dell’amore che si svela e da senso a tutte le cose.
La mistagogia: via idonea per entrare per entrare nel mistero della Liturgia (Papa Francesco) nell’incontro vivente col Signore crocifisso e risorto.
Mistagogia significa scoprire la vita nuova che nel Popolo di Dio abbiamo ricevuto mediante i Sacramenti, e riscoprire continuamente la bellezza di rinnovarla”.
Il testo del Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime così: «La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù». Essa è quindi il luogo privilegiato della catechesi del popolo di Dio. «La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l’azione liturgica e sacramentale, perché è nei sacramenti, e soprattutto nell’Eucaristia, che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini» (CCC 1074). La catechesi liturgica mira a introdurre nel mistero di Cristo (essa è infatti ”Mistagogia”) in quanto procede dal visibile all’invisibile, dal significante a ciò che è significato, dai «sacramenti» ai «misteri» (CCC dal 1075).
Significa guidare qualcuno a considerare le realtà sacre, introdurre nelle cose nascoste cioè nei misteri.
«Mistagogia – ci spiega Papa Francesco – significa scoprire la vita nuova che nel Popolo di Dio abbiamo ricevuto mediante i Sacramenti, e riscoprire continuamente la bellezza di rinnovarla». Questa esperienza è nuova ogni volta che la viviamo se la consideriamo nella sua dimensione di legame con il Padre-Provvidente, nella unione a Cristo, ricevendo nello Spirito la vita. Il tutto nella concretezza della nostra situazione esistenziale. Allora non saremo mai spettatori di un rito ripetitivo e lontano, ci sentiremo protagonisti di un incontro con il Mistero che la Liturgia nei suoi riti e nelle sue parole rende presente. Per il fedele che ha compreso il senso di ciò che ha compiuto, la celebrazione eucaristica non può esaurirsi all’interno del tempio. Al termine dell’assemblea eucaristica, egli deve tornare nel suo ambiente abituale con l’impegno di fare di tutta la sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio. Quanto celebrato guida e caratterizza la sua esistenza». ( Ai partecipanti alla Assemblea Plenaria della Congregazione per il Culto e la disciplina dei Sacramenti 14.02.2019)
In tempo di Covid.19. Una mistagogia creativa.
Nella prima ondata, nel lockdown che ha visto la sospensione con il popolo delle celebrazioni eucaristiche, lecitamente e con vibranti atti di fede, al limite di proteste plateali e al paradosso di isterismo religioso, lo dobbiamo ammettere, lamentando, ripeto giustamente, la non possibilità di partecipare alla S. Messa.
Crisi, per ora superata, i dati ci dicono che la partecipazione ai Sacramenti ha avuto un serio contraccolpo nella vita delle Comunità ecclesiali.
Momento di verifica, di valutazione di nuovo risveglio pastorale. Un bene pur nella sofferenza della privazione.
Con sofferenza abbiamo superato quel tempo, e oggi siamo in un altro lockdown soft a zone (rossa, arancione e gialla).
La nota della CEI (Conferenza Episcopale italiana) ha ulteriormente chiarito che:
con l’entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 novembre sull’emergenza coronavirus, non sono previste novità circa la celebrazione delle liturgie. E che, come già stabilito in precedenza, in tutta l’Italia, “l’accesso ai luoghi di culto avviene con misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro”.
Le nuove disposizioni dividono l’Italia in tre aree – gialla, arancione e rossa – a seconda del livello di rischio, ma non è stato, appunto, disposto alcun cambiamento circa le liturgie, tuttavia, nelle zone rosse, “per partecipare a una celebrazione o recarsi in un luogo di culto, deve essere compilata l’autocertificazione”.
La catechesi a distanza non sostituisce l’Eucarestia.
Circa la catechesi e lo svolgimento delle attività pastorali, chiarisce poi un comunicato stampa, alla luce delle indicazioni del DPCM, “la Segreteria Generale della Cei consiglia una consapevole prudenza; raccomanda l’applicazione dei protocolli indicati dalle autorità e una particolare attenzione a non disperdere la cura verso la persona e le relazioni, con il coinvolgimento delle famiglie, anche attraverso l’uso del digitale”. Infine la Cei aggiunge che “già l’Ufficio catechistico nazionale con il documento ‘Ripartiamo insieme’ aveva suggerito alcune piste operative. In particolare, per le zone rosse, la Segreteria Generale invita a evitare momenti in presenza favorendo, con creatività, modalità d’incontro già sperimentate nei mesi precedenti e ponendo la dovuta attenzione alle varie fasce di età”.
Ribadendo la cauta prudenza possiamo con serenità dire e confermare che le attività catechistiche possono proseguire ponendo la dovuta attenzione, e se si decidesse, in comunione e in co-responsabilità di sospendere le attività, per prudenza a causa dell’andamento epidemiologico in evoluzione e imprevedibile, ciò non toglierebbe di proseguire a distanza con i mezzi tecnologici e via web la catechesi a distanza. Abbiamo scoperto dell’utilità dei messi di comunicazione che non sostituiscono mai la Comunità in presenza.
L’Eucarestia (la S. Messa), però, sia partecipata non a distanza, ma in presenza; e non passi l’idea che è solo una come tante altre attività, perché, in sostanza e nei fatti, non lo è.
Sia vissuta e celebrata con disponibilità di cuore, senza restrizioni e con le dovute cautele e rispetto delle disposizioni possa sempre essere l’incontro vivo e vivificante con il Signore Gesù, morto e risorto.
La S. Messa noi la celebreremo sempre (con il popolo e anche senza popolo, come abbiamo fatto nel lockdown) fino a quando non si palesa la sospensione (speriamo mai!) delle celebrazioni.
L’Eucarestia celebrata e vissuta ci cambia la vita e ci sentiamo più aperti e disponibili agli altri: «Nell’Eucaristia Cristo attua sempre nuovamente il dono di sé che ha fatto sulla Croce. Tutta la sua vita è un atto di totale condivisione di sé per amore»
L’Eucarestia ci ha trasformato è «la grazia di sentirsi perdonati e pronti a perdonare. Perché si dovrebbe andare in chiesa, visto che chi partecipa abitualmente alla Santa Messa è peccatore come gli altri?”. Quante volte lo abbiamo sentito! In realtà, chi celebra l’Eucaristia non lo fa perché si ritiene o vuole apparire migliore degli altri, ma proprio perché si riconosce sempre bisognoso di essere accolto e rigenerato dalla misericordia di Dio, fatta carne in Gesù Cristo». Anzi: chi «non si sente bisognoso della misericordia di Dio, non si sente peccatore, è meglio che non vada a Messa! Noi andiamo a Messa perché siamo peccatori e vogliamo ricevere il perdono di Dio, partecipare alla redenzione di Gesù, al suo perdono».
L’Eucarestiaporta frutto. «Bisogna sempre tenere presente che l’Eucaristia non è qualcosa che facciamo noi; non è una nostra commemorazione di quello che Gesù ha detto e fatto. No. È proprio un’azione di Cristo! È Cristo che lì agisce, che è sull’altare. E’ un dono di Cristo, il quale si rende presente e ci raccoglie attorno a sé». Se non crediamo questo, «una celebrazione può risultare anche impeccabile dal punto di vista esteriore, bellissima, ma se non ci conduce all’incontro con Gesù Cristo, rischia di non portare alcun nutrimento al nostro cuore e alla nostra vita. Attraverso l’Eucaristia, invece, Cristo vuole entrare nella nostra esistenza e permearla della sua grazia, così che in ogni comunità cristiana ci sia coerenza tra liturgia e vita».
Le parole di Gesù sono molto impegnative, e anche consolanti: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Ma occorre vivere l’Eucarestia «con spirito di fede», convinti – ma veramente – che stiamo mangiando la carne e bevendo il sangue di Gesù Cristo, il quale è Dio che si dona a noi nel sacramento. (cfr. Papa Francesco, udienza Generale, 12 febbraio 2014)
Ecco perché i martiri di Abitene ci ricordano: Sine Dominico non possumus. «Senza il dominicum non possiamo»: senza il corpo del Signore, senza il sacrificio del Signore, senza il sacramento del Signore, senza il mistero del Signore, senza la Pasqua del Signore, senza il convito del Signore, senza il Giorno del Signore. Non possiamo vivere.
Credo che sia proprio così. Mi permettete una domanda?
Quante riunioni (non dico spesso inutili!) potrebbero sostituire la profondità e la grandezza de il Giorno del Signore? Io faccio fatica e non vorrei spagliarmi.