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“Fratelli tutti”, no alla cultura dei muri e del virus dell’individualismo

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di Benito Giorgetta

Accompagnata da qualche polemica, il tre ottobre u.s., sull’altare del sepolcro del Poverello d’Assisi, Papa Francesco, che ha scelto il suo stesso nome, ha firmato la sua terza enciclica: “Fratelli tutti”. E la polemica è nata proprio dal titolo, secondo alcuni improprio o limitativo e parziale, in quanto escludente le donne. Per cui, i presunti “correttori” del Papa avanzano l’ipotesi che il giusto titolo sarebbe stato: “Sorelle e fratelli tutti”. Evidentemente nelle intenzioni del santo Padre non ci sono parzialità o, peggio, esclusioni. Rifacendosi allo stile e al modo di dire di Francesco l’assisiate, ha voluto utilizzare al plurale il sostantivo fratelli includendo tutti: uomini e donne.

Il figlio di Monna Pica e di Pietro Bernardone nella sua maturità spirituale nel “Cantico di Frate Sole” parla di una fratellanza universale che si estende a tutte le persone e a tutte le creature. Arrivò a chiamare fratello e sorella il sole, la luna, la terra e ogni altra creatura, perfino la morte, osò definirla sorella.

La scelta del santuario che contiene le spoglie mortali di san Francesco non è stata una scelta casuale, ma voluta e ritenuta emblematica per tutto il suo alto, nobile e accattivante carattere magistrale che presenta. Anche la formula che si è adottata si sposa perfettamente con lo stile che caratterizza sia la vita di san Francesco che questo pontificato. La semplicità, l’essenzialità, la riservatezza, il silenzio.

Le idee che formano la trama di questo documento ormai fanno parte del vocabolario di Papa Francesco: rispetto di tutti, inclusione, guerra alla guerra e ancor auna volta un no secco alla “globalizzazione dell’indifferenza”. “Enciclica sociale” (6), per definizione dello stesso Papa, si propone di promuovere il desiderio universale alla fraternità e all’accoglienza reciproca e proficua attraverso la dimensione dell’amicizia partendo dalla comune e condivisa appartenenza alla famiglia umana. Tutti sotto lo stesso cielo, tutti figli dello stesso Creatore, tutti membri della stessa comunità. E’ un’enciclica fortemente inclusiva, spinge quasi a darsi la mano, per formare la stessa cordata. Sullo sfondo, quasi in filigrana si vede il più volte citato Documento sulla fratellanza umana firmato congiuntamente da Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel 2019.

Perseguire e raggiungere il bene comune sembra essere la “mission” di questa enciclica. La dignità di ogni essere umano è la mappa da seguire per porre in essere tutte le azioni necessarie per accogliere, assistere, accudire tutti gli esser i umani al di là degli interessi di parte. La nuova umanità, la civiltà dell’amore sono i sogni di Francesco attraverso la pace di cui tutti debbono essere “artigiani”. Il binomio giustizia e pace, rettamente coniugati, debitamente proposti, impegnativamente perseguiti, debbono essere le direttrici per dire ancora una volta e, si spera, definitivamente: “no alla guerra”.

Anche la pandemia da Covid-19 durante la quale il Papa tanto ha fatto ponendo in campo tutte le energie umane, sociali e spirituali che possiede, è presente nelle sue riflessioni, anzi, per sua stessa ammissione, “ha fatto irruzione in maniera inattesa proprio mentre stavo scrivendo questa lettera”. “Nessuno si salva da solo”, siamo sulla stessa barca, ci ha ripetuto la sera del 27 marzo 2020 quando guidandoci nella preghiera ha concesso al mondo intero l’Indulgenza plenaria.

Una delle password di questa enciclica è: “no alla cultura dei muri”, e l’icona che accompagna ed estrinseca il pensiero papale è quella nobile dell’esempio del buon samaritano. Occorre sradicare “il virus dell’individualismo radicale” (105) e ristabilire il primato della famiglia nel compito primario ed insostituibile dell’educazione primaria.

Toccando il tema delle migrazioni sollecita ad avere “Un cuore aperto al mondo intero” perché le “vite lacerate” vanno accolte, protette, promosse ed integrate. Non poteva non essere così visto che questo, giustamente, è il “cavallo di battaglia” di questo pontificato. La politica, che è il mezzo attraverso cui tutto questo dovrebbe prendere forma, deve essere, e qui ripropone una nota riflessione di uno dei suoi predecessori Paolo VI, una delle forme più preziose della carità. Allora occorre una migliore politica. Allora spazio al lavoro, al rispetto, soccorso verso le povertà, combattere e bandire il traffico di organi, armi, droga, lo sfruttamento sessuale, la schiavitù del lavoro, il terrorismo e il crimine organizzato. Una riflessione particolare per la “vergogna dell’umanità” quale è la tratta degli esseri umani e la fame del mondo. Anche un forte accenno all’ONU non manca nelle sue riflessioni.

I numeri finali: sesto, settimo e l’ultimo, l’ottavo, toccano i temi della gentilezza come motore relazionale, la pace e il perdono come laboratori sempre aperti, il rifiuto totale della guerra come opera da mettere in campo perché segna il fallimento dell’umanità, l’abolizione della pena di morte, garantire la libertà religiosa come diritto fondamentale.

Il testo, interessante, per certi versi confermativo del pensiero bergogliano, per altri innovativo per stimoli ed esortazioni, prima di concludersi con una preghiera cita i grandi testimoni a cui “mi sono sentito motivato  specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld” (286) .

Poi conclude con una “Preghiera al Creatore

 

Signore e Padre dell’umanità,

che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità,

infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno.

Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace.

Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno,

senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre.

Il nostro cuore si apra

a tutti i popoli e le nazioni della terra,

per riconoscere il bene e la bellezza

che hai seminato in ciascuno di essi,

per stringere legami di unità, di progetti comuni,

di speranze condivise. Amen”.

Non ci resta che leggere, riflettere e lasciarci trasportare dal desiderio che di sicuro questa lettura susciterà nel cuore di tutti: vivere ciò che siamo: Tutti fratelli.

Testo dell’Enciclica

 

 

Parrocchia San Timoteo
Parrocchia San Timoteohttps://www.santimoteotermoli.it/wp
La Parrocchia di San Timoteo di Termoli fu costituita da Mons. Oddo Bernacchia, con bolla 1/1/1954. La Chiesa di San Timoteo di Termoli è una struttura neogotica con una sola navata, e fu costruita su progetto dell’ing. Ugo Sciarretta. Unica nel suo genere vanta il prestigio d'essere una delle prime chiese costruite in cemento armato senza colonne centrali per questo ha meritato d'essere citata anche nei libri di storia dell'arte. Il vescovo Mon. Oddo Bernacchia avendo dato questo titolo alla neo parrocchia lo fece con l'intendo" di rendere omaggio al diletto discepolo di Paolo, San Timoteo il cui venerato corpo tornava alla luce, nella nostra Cattedrale, nel maggio del 1945 per u na fortuita circostanza.... "La chiesa ad una sola navata si dispiega ampia e solenne; con le pareti solcate dda strutture portanti che accennano ad uno stile leggermente gotico, invita ad elevare lo spirito a Dio nello slancio della preghiera (Mons. Biagio D'Agostino, Termoli e la sua Diocesi, 1978, p.179).
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