di: Gabriele Ferrari
Martedì 15 settembre don Roberto Malgesini, un prete della diocesi di Como, è stato ucciso nella piazza davanti alla chiesa di San Rocco e alla casa dove lui abitava, da un immigrato tunisino, senza fissa dimora con problemi psichici. Don Roberto lo conosceva bene e l’aveva già molte volte aiutato. Sul luogo dove è caduto, accoltellato, è accorsa l’ambulanza ma il prete era già spirato. Il vescovo di Como, mons. Oscar Cantoni, subito recatosi sul posto, ha benedetto la salma e, dopo aver pregato con la piccola folla accorsa alle prime ore del mattino, ha rilasciato una dichiarazione esprimendo «dolore e sgomento per la morte del sacerdote, ma anche l’orgoglio della Chiesa di Como per la testimonianza di un sacerdote che ha dato la vita per Gesù attraverso gli ultimi». In questo momento di grande dolore il vescovo ha invitato la diocesi a un rispettoso silenzio e a pregare per don Roberto e «anche per colui che l’ha assassinato».
«Un santo della porta accanto»
Era nato a Regoledo di Cosio, in Valtellina 51 anni fa. Ordinato prete nel giugno 1998, era stato vicario a Gravedona (fino al 2003), poi a Lipomo (dal 2003 al 2008). Dal 2008 era collaboratore a San Rocco, una parrocchia da qualche anno unita a quella di San Bartolomeo nella comunità pastorale “Beato Scalabrini”. «Siamo umanamente colpiti dalla morte per assassinio di don Roberto, – ha detto il vescovo – ma viviamo intensamente nella fede questo drammatico lutto, nel giorno in cui celebriamo la memoria di Maria Addolorata, un giorno importante anche perché oggi ricorre l’anniversario della morte di don Pino Puglisi».
La diocesi di Como ha già vissuto un dramma analogo nel 1999 quando il parroco di Ponte Chiasso, don Renzo Beretta, fu ucciso da una persona che lui aiutava e un altro dramma ancora a Chiavenna il 6 giugno 2000 quando sr. Laura Mainetti fu uccisa da alcune giovani che lei aiutava. «I santi si rincorrono», ha detto il vescovo. «Sono convinto che don Roberto sia stato un “santo della porta accanto” (papa Francesco), per la sua semplicità, per l’amorevolezza con cui è andato incontro a tutti, per la stima che ha ricevuto da tanta gente, anche non credente o non cristiana, per l’aiuto fraterno e solidale che ha voluto dare a tutti e a questa città, che ha tanto bisogno di imparare la solidarietà, perché questo è il nuovo nome della pace».
Don Roberto si donava a tutti perché – ha ricordato il vescovo che lo conosce dai tempi del seminario e spesso gli raccomandava di essere prudente – era convinto che «i poveri sono la vera carne di Cristo». Egli ha aperto il cuore a tutti coloro che hanno bisogno, soprattutto agli emarginati senza distinzione di religione e nazionalità, per far sentire loro la tenerezza di Dio che si china sulle persone bisognose. L’hanno giustamente chiamato il “prete di strada” e il “prete degli ultimi”, titoli di onore per un prete oggi e salutare provocazione per una città come Como che per la sua posizione geografica si trova a essere una frontiera dove i migranti attendono la possibilità, molto remota, di passare il confine. Essi arrivano qui dopo lunghe e dolorose peregrinazioni pieni di speranza. Ma qui la speranza spesso si spegne e molti di loro sono costretti a vagare per la città e la notte dormono ovunque possono stendere una stuoia o una coperta per passare la notte.
L’amministrazione comunale – a maggioranza leghista – ha cercato in ogni modo di farli andar via. Tutti abbiamo visto alla televisione quell’assessore comunale, una donna, che è andata a strappare la coperta a un migrante che dormiva sotto i portici di San Francesco.
Questa è la via del cristiano
Ma nella città, considerata ostile verso i migranti, c’è altra gente – come don Roberto – che invece sente compassione e cerca di assistere questi poveri offrendo loro comprensione e qualcosa per sopravvivere. Assistenzialismo miope e inefficace o risposta umana e cristiana a un’emergenza reale? Don Roberto con la sua morte ha fatto vedere che questa è la strada cristiana, oggetto di critiche dei cosiddetti benpensanti ma segno del coraggio della carità e del dono di sé che arriva fino al martirio.
Don Roberto è stato oggetto di ammonizioni e di multe da parte delle autorità civili, ma lui ha tirato dritto sulla strada della compassione e della solidarietà e con il suo esempio ha incoraggiato quei volontari, giovani e adulti, cristiani e non cristiani, che come lui ogni mattina all’alba portavano la colazione ai poveri che avevano passato la notte in strada. La misura della carità l’abbiamo vista nel pianto dei migranti alla notizia della morte del sacerdote.
Don Roberto accompagnava personalmente dal medico chi aveva bisogno di cura e agli uffici competenti chi da solo non avrebbe potuto sbrogliarsi nei meandri della burocrazia per introdurre le pratiche e regolarizzare la propria presenza. La sua piccola panda era un segno di speranza, la misura del suo cuore dove caricava chiunque avesse bisogno. Era davvero il “prete degli ultimi” sempre dalla loro parte e con loro nel momento del bisogno.
Il sindaco di Como in questa circostanza ha dichiarato il lutto cittadino. È difficile mettere insieme la prassi razzista della sua amministrazione con questo segno di rispetto e di apprezzamento per la tragica morte di don Roberto. C’è da sperare che il suo sacrificio sia una salutare scossa per la coscienza della cittadinanza e che non sia invece un pretesto per chi dice: «Vedete che avevamo ragione noi: questa gente violenta e contagiosa deve essere allontanata dalla città». Certamente don Roberto non sarebbe d’accordo e, sorridendo, continuerebbe a portare la colazione a quei poveri, che sono il volto nascosto di Gesù Cristo: «Avevo fame, ero forestiero… mi avete dato da mangiare e mi avete accolto… Venite, benedetti del Padre mio».