VI Domenica di Pasqua
Con Dio non si è mai orfani
(Atti 8,5-8.14-17; 1 Pietro 3,15-18; Giovanni 14,15-21)
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui»”.
Una delle esperienze più drammatiche e, per certi versi incomprensibile, della vita di un bambino è che in tenera età resti orfano. Lo stato di orfanilità crea, inevitabilmente, degli scompensi, delle difficoltà che si ripercuotono anche sul sereno ed armonioso modo di relazionarsi da grande. Certe ferite sono difficile da rimarginarsi e le cicatrici che lasciano sono indelebili. Purtroppo la vita talvolta pone dinanzi a questi disagi l’esistenza di qualcuno. Nel nostro relazionarci con Dio, ma, soprattutto, nel rapporto di paternità e figliolanza a cui siamo chiamati tramite il battesimo ci dono una certezza che consola e stimola: mai rimarremo orfani. In Dio non c’è orfanilità a meno che non sia una libera scelta da parte dell’individuo di voler vivere bay passando Dio, come se non esistesse.
“Non vi lascerò orfani: verrò da voi”, promette Gesù poco prima di lasciare la vita e la storia di quel mondo che aveva, in obbedienza al Padre, scelto di abitare. Cosa significa ed implica? Da parte di Dio c’è la ferma e determinata volontà ad essere sempre legato alla vita, alla storia, alle sofferenze, alle gioie e alle speranze di ogni uomo. Anche quando sembra che tutto sia il contrario, come il caso della morte. Per noi è una sciagura ma per Dio la tomba è la vera culla della vita. Da lì si rinasce per la vita eterna. Attraverso la morte l’uomo è chiamato ad abitare la patria in modo stabile. Nel mondo siamo pellegrini e di passaggio e questo è frutto benefico della paternità di Dio.
Dio non ci lascia orfani, ci chiede di tessere le trame della nostra vita col suo ordito. Intrecciare la nostra esistenza col suo amore significa sperimentarne la forza e la consolazione che genera il nostro rapporto con lui. Sperimentare tutto questo significa essere in Dio, in lui, immersi, come nel giorno del battesimo che ci ha purificati e rivestiti di Dio perché “affogati” in lui, sommersi, coperti, rivestiti del suo amore come di un abito che ci ha ammantati e ci ha dato bellezza.
E tutto questo non è da raggiungere, guadagnare, meritare, l’amore non si merita si accetta, si accoglie, è gratuito. Il DNA dell’amore è il dono di se stessi e Dio amandoci si dona a noi, senza limiti, riserve o pregiudiziali. E’ padre e lo è per sempre ma non un sempre umano bensì divino che significa eterno. Sì l’eternità è lo spazio di Dio e lì lui ci chiama a fare unità con lui per sperimentare la bellezza e il fascino della sua fedeltà e figliolanza. In Lui mai nessuno sarà orfano. La sua paternità palpiterà nel cuore di ogni uomo e per sempre.