XXIX Domenica Tempo Ordinario
(Esodo 17, 8-13; 2 Timoteo 3, 14-4, 2; Luca 18, 1-8)
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»”.
Una giornata senza preghiera è una giornata da cestinare. La preghiera ci dona Dio e ci dona a Dio. Pregare è come esporsi al calore del Padre. Una pianta senza l’esposizione al sole non vive e, quando manca la luce, cerca, s’innalza, verso di essa per essere piena di vita ed assicurarsi la crescita. Le foglie delle piante cercano perennemente la luce, virano verso di essa sapendo che altrimenti sarebbero destinate alla distruzione assieme a tutta la pianta. Così chi prega non deve mai stancarsi di cercare Dio, d’essere immerso nel suo amore. Pregare non è certo sprecare tante parole o elencare la lista delle necessità; pregare è stare con Dio. Sostare, rimanere, stazionare nel suo cuore facendolo diventare sazietà, fonte sorgiva quindi pura e dissetante per ogni tipo di sete.
Gli innamorati non si stancano mai d’essere l’uno di fronte l’altro, penetrarsi con gli sguardi, tessere intese mai espresse, raggiungere profondità verticistiche e sintonie inesplorate. Non occorrono parole, basta la presenza, non si guarda il tempo che risulta essere sempre poco rispetto al desiderio di continuità e povero in riferimento all’intensità da raggiungere. Pregare è tutto questo e molto di più. Pregare è sentire Dio nella propria vita e sentirsi abbracciati dal suo calore ed avvolti dalla sua misericordia. Pregare è respirare Dio, confidare in Lui certi di trovare collocazione stabile e definitiva nel suo cuore e far parte della sua orbita.
Delle volte sembra che siamo orfani di Dio nel senso che lui sia assente o comunque non ascolta il nostro grido nonostante la ripetuta e fiduciosa preghiera e il costante riferimento alla sua onnipotenza. Non dobbiamo vivere nell’errore che Dio abbia bisogno del nostro suggerimento per intervenire, quasi costringerlo a ridursi al nostro pensiero o alle nostre necessità. E’ come se un malato che ricorre al medico abbia la pretesa di suggerirgli la medicina da prescrivergli o il gesto operatorio da compiere. Pregare è mettersi nella mani di Dio e con lui siamo in buone mani, nelle migliori, in quelle più rassicuranti e premurose, forti e stabilizzanti. Anche se sembra che Dio non esaudisce i nostri desideri è certo però che compie le sue promesse. Pregare è come essere palombari: è necessario immettersi in Dio, andare in profondità, senza guardare l’orologio del tempo che passa, anzi, considerare che ogni ottimo in più è un’occasione ulteriore per sostare con lui. Pregare non è una costrizione o peggio un dovere, pregare è una necessità di ricevere amore e donare una risposta corrispondente alle nostre capacità ed intensità. Intanto godiamoci quella di Dio, la nostra sarà una naturale conseguenza avendo al polso un orologio senza lancette, quindi senza tempo, perché pregare è permanere in Dio e si vorrebbe fermare il tempo perché è sempre poco e breve. Come per gli innamorati.