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Per servire è necessario esserne degni

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XXVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 6 ottobre 2019

(Abacuc 1,2-3; 2, 2-4; 2 Timoteo 1,6-8.13-14;Luca 17, 5-10)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Il servizio in genere è considerato come degradante e schiavizzante. Addirittura nelle epoche passate, coloro che oggi si chiamano ragazze alla pari, collaboratrici domestiche, colf o badanti, venivano, genericamente e poco elegantemente, chiamate serve.

Il servizio a cui fa riferimento il vangelo odierno è una scelta di vita, è uno stile che diventa identificativo e qualificante di un vero cristiano. Il beneficio che arreca a chi lo riceve è evidente, meno conosciuto è il bene che determina in chi il servizio lo esprime. Servire è un dono, è una scuola di vita, è una scelta vocazionale quindi programmatica e interpretarlo è davvero una gratificazione morale, innanzitutto, e poi spirituale e anche umana. Per questo, coloro che sono deputati al servizio del popolo di Dio, nelle varie espressioni di ministerialità e maturità battesimale, debbono considerare il servire come una dignità a cui aspirare e a cui continuamente adeguare la propria vita. Quell’inutilità a cui richiama fortemente Gesù: “… Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Luca 17, 10) è pedagogica, formativa e salutare. Certo approcciarsi agli altri, intercettare le loro sofferenze, debolezze, ferite ed emarginazioni; le loro lotte e le sconfitte, significa entrare nel sacrario della loro esistenza e, poterlo fare, è un privilegio. Chi serve nutre se stesso con la sofferenza altrui nel momento stesso che la soccorre. Avvicinare un uomo in forte disagio significa scoprirlo nella sua debolezza e fragilità quando ci è donato di farlo occorre essere discreti, attenti e premurosi e mai avari nel ringraziare perché attraverso di essi noi ci formiamo, “guadagniamo”, assicurandoci la ricompensa eterna, ed abitiamo un’esistenza umana che è un privilegio unico.

Imparare a prepararsi per esercitare dignitosamente un servizio è uno stile vivace e provocatorio. L’approccio alle persone è un dono meraviglioso che bisogna meritare e per cui occorre essere pronti. Anche questo è un modo per dimostrare la propria fede con le opere e non farla rimanere ingessate e prigioniere delle parole o peggio imbavagliate dalle migliori intenzioni  che non si traducono  e non si rivelano e traducono nel quotidiano. E Gesù ci dice che basterebbe una fede così anche piccola come un granello di senape per sradicare un albero. Chissà se siamo capaci di estirpare almeno un filo d’erba? Se nemmeno questo sappiamo fare allora preghiamo anche noi come gli apostoli: “Accresci in noi la fede”. E il Signore ci esaudirà! Crediamoci.

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