Solo Dio basta. Girarsi verso di lui per poter crescere
(Amos 7,12-15; Efesini 1,3-14; Marco 6, 7-13)
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano”.
“Solo Dio basta”, amava ricordare santa Teresa d’Avila, grande santa mistica, innamorata di Dio. Nulla deve turbare, nulla ci deve spaventare, nulla ci deve far sentire orfani di Dio. Quando da lui ci si sente amati dobbiamo solo diventare anfora che lo accoglie e tracimare per donare diventando così, noi stessi, sorgente per altri.
Chi incontra Dio e riempie la sua vita della sua presenza, non può imprigionarlo e incatenarlo, necessariamente lo deve donare, annunciare. La forza di Dio nel cuore dell’uomo è come quella di un seme nel solco della terra. Esplode, si sviluppa, nasce, cresce, diventa pianta e porta il frutto. L’incontro con Dio sollecita a donarlo, testimoniarlo. E’ lui stesso che invita ad andare perché vuole consegnare ad ogni uomo, sua creatura, la buona notizia. Nell’inviare “a due a due” ordina di non equipaggiarsi di null’altro se non ciò che è necessario per la sussistenza quotidiana accolta da coloro ai quali si chiede ospitalità. Il vangelo cammina con la forza di Dio e non con le sicurezze umane.
La chiesa in uscita auspicata da papa Francesco ci consegna proprio questo: andare, camminare, muoverci, uscire, incontrare. Questi sono gli antichi, ma sempre nuovi, verbi da coniugare nel quotidiano delle scelte evangeliche e nelle “strategie” pastorali. Non un Dio messo sottovuoto o congelato, tanto all’occorrenza lo ritroviamo intatto, ma un Dio esperito e donato. Più si dona più lo si fa risiedere nel proprio cuore a trasformare la vita. Un Dio gelosamente custodito, quasi fosse proprietà privata, prima o poi marcisce. Ha bisogno d’essere donato per rinnovarlo nella propria vita. Come l’acqua di uno stagno. Se non scorre, non si rigenera, anzi diventa putrida, inutile e deleteria. “La Chiesa è come un fiume che scorre nella storia e porta continuamente al mondo l’acqua che sgorga dall’unica sorgente che è Cristo” (Papa Francesco).
L’invito dei due che ascoltando l’ordine di Gesù, sono partiti, è quello duro e innovativo della conversione. Questo moto perpetuo dell’animo umano che è chiamato a purificarsi in continuazione, denuncia il marcio, fa vedere il peccato ma chiede di rivolgere lo sguardo sulla luce, sulla verità, sull’amore di Cristo. Girarsi verso Dio per trovare conforto, sollievo, perdono, comprensione, vita. Girarsi verso di lui per poter crescere. Difatti le loro parole e il loro invito è accompagnato dalla forza che usciva dalle loro mani: guarivano i malati, scacciavano i demoni, liberavano i cuori.
Dio non ci vuole presso di sé perché sconfitti, umiliati, inutili, ma perché desiderati e cercati. Dio non ha bisogno di sudditi a cui imporre degli ordini, ma di figli da abbracciare. Ecco perché occorre approdare a Dio. Ecco perché solo Dio basta.