IL VANGELO STRABICO
II Domenica Tempo Ordinario – A
(Isaia 49,3.5-6; 1 Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34)
A cura di Benito Giorgetta
Il belato di Dio per la salvezza del mondo
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio»”.
Giovanni Battista, il grande profeta, riconosciuto da tutti e seguito da molti, vedendo Gesù avvicinarsi, lo indica come l’agnello di Dio che è venuto a togliere il peccato dal mondo, a cancellare il debito, ad abbattere il muro di divisione tra gli uomini e Dio ad annullare il documento scritto dal nostro debito (Colossesi 2,14). Per la mentalità occidentale potrebbe apparire un’offesa paragonare Dio ad un agnello, ma per la mentalità semitica aveva un preciso significato. La loro pratica religiosa, difatti, per ricevere il perdono delle colpe, richiedeva di individuare un capo del bestiame e, dopo aver depositato, simbolicamente, su di lui i loro peccati, lo lasciavano vagare nel deserto dove si sarebbe disperso o dilaniato dalle belve. Morto l’animale si consideravano perdonate le colpe. Da qui l’espressione “capro espiatorio”, quando, cioè, uno paga per tutti. Quindi Dio non più destinatario di vittime immolate alla sua grandezza, potenza e trascendenza, ma lui stesso vittima per l’espiazione delle colpe. Nono più immolazioni e sacrifici richiesti ma lui stesso sacrificato, immolato.
Anche nella simbologia Dio è “minore”. Non un animale poderoso, vigoroso, dominante, ma mansueto, indifeso, belante e non ruggente, remissivo, preda e non aggressivo e predatore. Ecco l’agnello che toglie il peccato del mondo. Non lo toglie perché lo cancella con una spugna, ma investe il suo amore, dona se stesso, paga di persona. Un Dio che avrebbe potuto salvare l’uomo solo con la sua intenzione, così come aveva creato: “sia la luce e la luce fu!” Per salvare ci mette del suo, non bastano le parole ispirate al suo cuore di Padre che perdona, scandalizza perché immola se stesso permette la sua morte, offre la sua vita per amore di coloro che ha creati e che gli hanno disobbedito.
Il nostro è un Dio, agnello immolato, che attraversa, vive, abita la storia umana nelle membra e nelle ferite di ognuno. Il nostro è un Dio del presente, qui e ora, accanto a chi lo invoca, a chi soffre, a chi lo cerca, addirittura, a chi lo rifiuta, lui lo insegue, lo attende, lo va a cercare. E’ un Dio che porta il passo del più debole per non escludere nessuno. Questo è il segreto dell’amore: il dono di se stessi. Capaci di immettere nelle vene della storia umana quella linfa vitale e rigeneratrice dell’amore, dell’inclusione, del dialogo, della tolleranza, della comprensione. Dio è venuto a togliere il peccato del mondo e immettere il flusso benefico e rigenerante del perdono nelle vene della storia umana perché, capillarmente, giunga fino alle periferie più estreme, agli angoli più nascosti, nei cuori più inquieti. L’Agnello manda noi, come agnelli in mezzo ai lupi, per essere portatori degli stessi per essere testimoni della stessa mansuetudine e seminare nel cuore inquieto dell’uomo che il male si vince solo col bene, perché il bene genera, il male sterilizza.