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IV domenica di Quaresima – Anno C – 6 marzo 2016

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Suo padre gli corse incontro e gli si gettò al collo

Anche il brano evangelico di oggi, come quello della scorsa domenica, è imperniato sullaconversione-penitenza, tematica che accomuna le celebrazioni liturgiche quaresimali dell’anno C nel rito romano.

La pericope odierna si compone di due parti: una introduzione-premessa e una parabola. La prima ci fa sapere che tra i più assidui ascoltatori di Gesù c’erano pubblicani e peccatori (che notoriamente non seguivano le regole della Torah), con i quali il rabbi di Galilea si mostrava accogliente e paziente. Tutto ciò è assai malvisto da una seconda categoria che emerge all’orizzonte evangelico: scribi e farisei che, condizionati dai loro pregiudizi, “mormorano”, cioè criticano con forte accento negativo di protesta il comportamento di Gesù. Quest’ultimo non rimprovera apertamente i notabili ebrei, ma espone una parabola, cioè un racconto fittizio, che presenta stringenti analogie con la situazione vissuta dai soggetti summenzionati.

Nel testo si accampano a forti tinte tre personaggi: il padre, il figlio minore – dissoluto, e il primogenito – fedele e laborioso.

Il figlio minore, sentendosi allo stretto in famiglia, chiede al padre la sua parte di eredità (con il genitore in vita, gli spettava un terzo dei beni, il doppio andava al figlio maggiore) e parte per una meta lontana, credendo di raggiungere l’agognata libertà. Ma conduce una vita disordinata, sperpera i soldi e si riduce a fare il guardiano di porci, patendo la fame. Così, toccato “il fondo” come si suol dire, rientra in sé e decide di tornare a casa . E’ convinto di aver perso l’amore del genitore e di doverselo meritare di nuovo. MA IL PADRE NON HA MAI CESSATO DI AMARLO. Quando il figlio gli chiede perdono, non lo lascia neppure parlare: il suo amore precede il pentimento e la conversione; gli offre con gioia veste, anello, calzari, “segni” dell’essere figlio e vuole che si faccia festa per il ritorno del giovane, il quale, travolto da questa misericordia sovrabbondante, finalmente capisce che il padre non solo l’ha sempre atteso, ma l’ha sempre amato, anche quando lui lo aveva dimenticato, o forse odiato. E’ evidente che il figlio minore rappresenta quei pubblicani e peccatori che abbiamo incontrato nel v.1 e la sollecitudine del padre manifesta la sollecitudine di Dio Padre rivelata da Gesù.

Nel proseguimento della parabola troviamo il 3° personaggio, il figlio maggiore, un giovane fedele rimasto sempre in casa. “In tal modo il parabolista ha abilmente messo in scena anche i “mormoratori” scribi e farisei (cfr. v.2) rappresentandoli nel figlio maggiore. Anziché godere della gioia del padre, questi ne prova irritazione: esattamente come gli scribi e i farisei che mormoravano contro Gesù. Costoro, i “giusti”, sempre fedeli e sempre a servizio, sono sì dei credenti, ma non conoscono Dio.

Il figlio maggiore non riesce a vedere la questione con gli occhi del padre………La gioiosa accoglienza riservata al fratello minore (che egli non riconosce come “fratello”) suscita in lui l’amara sensazione che la sua fatica sia del tutto sprecata……..si risente nei confronti del padre e non vuole entrare in casa; il padre non si adira neppure con lui, ma esce, gli va incontro, lo prega e lo chiama “figlio mio”. IL PADRE AMA ENTRAMBI I FIGLI. Ascolta le ragioni del figlio maggiore e le confuta: è un dialogo su cui il parabolista indugia, forse per ricordarci che talvolta la conversione del giusto è più difficile di quella del peccatore.” (B. Maggioni, Le parabole evangeliche, p.225)

La parabola odierna viene chiamata normalmente “del figliuol prodigo”, ma a ben vedere è piuttosto la “parabola del padre misericordioso”, anzi “la parabola di un padre prodigo d’amore” ed è forse la pagina più nota del vangelo di Luca, certamente una delle più celebri; è una pagina addirittura commovente, una grande pagina evangelica, che non a caso i Padri della Chiesa definivano “il Vangelo nel Vangelo”. Infatti, se il vangelo è Buona Notizia, questa parabola è davvero l’apice della Rivelazione cristiana: l’amore di Dio non ha confini; egli ci ama non solo se siamo buoni, ma anche e soprattutto quando siamo cattivi: “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi!” (Rom.5,8) Il testo è dunque una sorta di catechesi sul sacramento del perdono, è una pagina di rara bellezza letteraria e di ancor più rara densità teologica. Quella in esame è anche la parabola forse più articolata e ricca di tratti descrittivi, ciascuno con un preciso significato.

Il centro della pericope è costituito certamente dalla straordinaria figura del Padre, un esempio e modello di amore paterno difficilmente eguagliabile.

Ogni parabola ha poi la cosiddetta “punta”, cioè da quella parte su cui, come accade per un quadro, è soprattutto attirata l’attenzione dell’ascoltatore; nel caso presente la “punta” sta nel modo in cui il padre si pone di fronte ai due figli e quindi nell’invito a non opporsi alla sua straordinaria misericordia, perchè Gesù non è “venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. (Mc.2,17).

Io credo che il messaggio principale che emerge dal testo lucano sia proprio questo: fugare nel modo più assoluto qualsiasi forma di paura o addirittura terrore di fronte a Dio, visto come Giudice inesorabile che, alla fine della vita, ci farà pagare tutti i nostri conti; e prendere atto che, in quel momento, noi ci troveremo al contrario di fronte ad un Padre dolcissimo, pieno di comprensione e di misericordia, felice – Lui ! – del nostro pentimento e del nostro ritorno, anche nel caso che i nostri peccati siano stati i più ignobili, vergognosi e incalliti del mondo. A questo proposito mi vengono in mente la parole di S. Teresina del Bambin Gesù (in “Storia di un’anima”): “Sento che, se anche avessi commesso tutti i crimini possibili, la moltitudine di offese diverrebbe come una goccia d’acqua gettata in un braciere ardente!”

Attualizzando il testo di Luca per il nostro tempo, possiamo ricordare il ragionamento di tanti: “Ecco, io fin da piccolo sono stato osservante e praticante. Quello lì, che ha fatto i suoi comodi per tutta la vita, si pente all’ultimo momento, viene perdonato ed ha la stessa mia ricompensa: il Paradiso. E’ giusto questo?”. Certo, è giusto nella logica di Dio, diversa dalla nostra, ma uguale a quella di un padre o di una madre, che non aspettano altro che il ritorno del figlio traviato; e quando questi si ravvede, gioiscono infinitamente, facendo gran festa e mettendolo a parte dei loro beni tanto quanto gli altri figli che magari vi hanno contribuito con il loro lavoro.

Non può essere che gretto e meschino il ragionamento di cui sopra, perché c’è comunque una bella differenza tra l’essere in dialogo e comunione con Dio fin dall’inizio della propria vita cosciente ed arrivarci all’ultimo momento: si perde molto purtroppo!, e poi si corre il rischio di essere raggiunti dall’esito fatale prima di fare in tempo a convertirsi. E ancora: siamo sicuri che il gaudente in questione fosse veramente felice e appagato? Che ne sappiamo noi di quello che è passato nel suo animo? Chissà quanti “figliuoli prodighi” hanno “assaporato” e tuttora “ruminano” i frutti amari della loro presunta libertà!

Chi ha conosciuto e goduto dell’amore straordinario e pacificante di Dio per tanto tempo nella sua vita, non può che rallegrarsi che un suo fratello vi giunga, pur se in extremis, e partecipi egli pure della gioia ineffabile che ci viene dall’essere immensamente amati da Dio Padre.

Ileana Mortari

Quarta Domenica del Tempo di Quaresima

Lc 15, 1-3. 11-32
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 06 – 12 Marzo 2016
  • Tempo di Quaresima IV, Colore rosa
  • Lezionario: Ciclo C, Salterio: sett. 4
Parrocchia San Timoteo
Parrocchia San Timoteohttps://www.santimoteotermoli.it/wp
La Parrocchia di San Timoteo di Termoli fu costituita da Mons. Oddo Bernacchia, con bolla 1/1/1954. La Chiesa di San Timoteo di Termoli è una struttura neogotica con una sola navata, e fu costruita su progetto dell’ing. Ugo Sciarretta. Unica nel suo genere vanta il prestigio d'essere una delle prime chiese costruite in cemento armato senza colonne centrali per questo ha meritato d'essere citata anche nei libri di storia dell'arte. Il vescovo Mon. Oddo Bernacchia avendo dato questo titolo alla neo parrocchia lo fece con l'intendo" di rendere omaggio al diletto discepolo di Paolo, San Timoteo il cui venerato corpo tornava alla luce, nella nostra Cattedrale, nel maggio del 1945 per u na fortuita circostanza.... "La chiesa ad una sola navata si dispiega ampia e solenne; con le pareti solcate dda strutture portanti che accennano ad uno stile leggermente gotico, invita ad elevare lo spirito a Dio nello slancio della preghiera (Mons. Biagio D'Agostino, Termoli e la sua Diocesi, 1978, p.179).
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