“Non è costui il figlio di Giuseppe?”
Il Vangelo di questa domenica è la continuazione di quello della scorsa settimana; riguarda l’episodio di Gesù nella sinagoga di Nazaret, che si conclude in maniera drammatica. Il Signore legge un passo di Isaia e poi lo commenta con queste parole: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc. 4,21). Egli attualizza, applicandolo a sé, l’oracolo profetico e si presenta come colui che porta a compimento l’antica speranza contenuta in quella profezia: grazie a Lui la liberazione degli oppressi e la buona notizia per i poveri, la guarigione dei ciechi e il perdono dei peccatori sono finalmente una realtà!
E’ da notare che “oggi” è un termine caratteristico di Luca, per il quale esso non designa soltanto una determinazione cronologica, ma assume unben più vasto significato: dice che gli ultimi tempi, della salvezza escatologica, sono iniziati e che la storia degli uomini sta attraversando un momento eccezionale di grazia. L’oggi è la novità di Gesù.
vv.22-23: “Tutti……..erano meravigliati delle sue parole………..Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”
La reazione dei conterranei di Gesù è duplice: di ammirazione, ma anche di risentimento. Cerchiamo di immedesimarci nella situazione: Nazareth era un paese piccolissimo, con pochissimi abitanti, mai citato nell’Antico Testamento.
Ora, quanto più un centro abitato è piccolo, tanto più forte è la tentazione della chiusura e del provincialismo. Le notizie circa lo straordinario successo procurato a Gesù da predicazione e miracoli, e la sua grande reputazione di maestro e taumaturgo portavano i Nazaretani all’euforia, visto che proprio un loro compaesano era diventato una figura di spicco in Israele, rendendo famoso anche il borgo di provenienza!
D’altro canto questi sentimenti di soddisfazione erano turbati dal risentimento, e questo è un tipico esempio di contraddizione dell’amor proprio: perché tanti prodigi manifestati a Cafarnao, e non a Nazaret? I compaesani di Gesù non si capacitavano del fatto che il Messia non avesse privilegiato la propria cittadina d’origine, com’era secondo loro doveroso, rendendola più gloriosa delle altre. Ora, proprio questo amor proprio offeso porta i Nazaretani a svalutare e sminuire il nuovo profeta, che pure ha mostrato straordinarie credenziali. “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (v.22). Cioè: come può un oscuro carpentiere di umili origini pretendere di interpretare la Scrittura, lui che non ha titoli di studio né patente di rabbino?
E comunque la gente voleva un segno immediato che le sue parole “Oggi si è compiuta questa Scrittura” erano vere. Volevano subito una conferma attraverso un miracolo. Non c’è in loro la fede, ma la pretesa di decidere quando e come mettere alla prova le parole di Gesù, il quale però si rifiuta di compiere uno “show taumaturgico”, ad uso e consumo della curiosità dei Nazaretani e del loro orgoglio locale.
Che cosa avrà provato il Signore davanti a questo mormorio fatto di incredulità e diffidenza?
Sicuramente molta tristezza, amarezza e delusione, tanto che, come sappiamo dal passo parallelo di Mc.6,1-6, questa incomprensione totale dei suoi non Gli permise di operare lì alcun miracolo.
Egli peraltro capisce bene ciò che i suoi concittadini pensano e vede chiaramente il loro atteggiamento possessivo, che non corrisponde per nulla al piano di Dio.
Così aggiunge: “Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c’erano molte vedove in
Israele al tempo di Elia . …… . C’erano molti lebbrosi al tempo del profeta Eliseo . …….” (vv.24-27)
Il figlio di Giuseppe spiega che un profeta non è mandato da Dio per fare miracoli a beneficio dei suoi parenti e concittadini, ma per una missione più grande. E porta l’esempio di due profeti taumaturghi, considerati i più grandi in Israele e “padri” del profetismo biblico: Elia ed Eliseo.
Ebbene: Dio non ha mandato Elia a una vedova israelitica, ma a una pagana della Fenicia, per preservarla con un miracolo dalla morte per fame. Ed Eliseo non ha guarito un lebbroso israelitico, ma Naaman il siro. Con questi esempi Gesù vuol far capire ai suoi concittadini che l’amore di Dio è universale e, se ha preferenze, le riserva agli ultimi e ai lontani e anche Gesù privilegia i poveri e gli emarginati. Occorre pertanto rinunciare ad un atteggiamento possessivo e aprire il proprio cuore alla dimensione universale del piano di Dio. Anziché lamentarsi, i suoi compaesani dovrebbero sentirsi onorati di avere tra loro un concittadino che mette tutta la sua generosità a profitto di altri paesi.
Ma purtroppo i cittadini di Nazaret non accettano questo insegnamento e si indignano per le parole del Messia, che minano alla base i privilegi di Israele, il quale si ritiene destinatario esclusivo delle promesse messianiche e unico erede della salvezza escatologica, considerando i pagani come una “massa dannata”. Anzi, vedendo smascherate le loro intenzioni segrete, i Nazaretani sono pieni di sdegno verso Gesù (cfr. v.28). La tendenza possessiva, quando viene contrariata, si trasforma in atteggiamento di odio e in aggressività, come possiamo notare purtroppo in tanti casi della vita.
I Nazaretani arrivano addirittura a voler disfarsi di Gesù e fanno di tutto per gettarlo dal precipizio del monte su cui era costruita la città. Tale rigetto del Maestro è il preludio del rifiuto radicale da parte degli ebrei, che avrà come epilogo la cattura, il processo, la condanna e la crocefissione del Cristo. Egli – il più grande di tutti i profeti – non ha voluto sottrarsi al destino che caratterizza la vita di ogni profeta: quello di essere inascoltato, emarginato, squalificato.
Ma quel sabato a Nazaret l’ora di Gesù non era ancora giunta; perciò “egli passando in mezzo a loro si mise in cammino” (v.30): Gesù non fugge, ma si allontana con sovrana libertà. E’ come un simbolo, quasi un anticipo della futura resurrezione, mediante la quale egli sfuggì in modo completo ai suoi nemici. L’opposizione degli abitanti di Nazaret non è riuscita ad arrestare la storia di Gesù, come non riusciranno – più tardi – i suoi crocifissori. I profeti uccisi sono più vivi che mai, e il Messia crocifisso è risorto.
Così commenta Paolo VI: “Gesù incontra resistenza e ostilità. Ora un simile atteggiamento può essere riferito anche a noi oggi. Siamo per Cristo, oppure no? Rimaniamo cristiani o avviene il contrario? La Chiesa chiede a tutti noi: siete pronti a confermare la vostra adesione e fedeltà? Ma noi vorremmo rivolgere singolarmente a ciascuno di voi, per parlare con voce sommessa e dire: ‘Tu accetti il Signore? Gli vuoi veramente bene? Pensi alle sue parole e le accetti? …………..Incalzano sopra di te e trovano posto nella tua vita?….Ricordiamoci che la prima forma di negazione è il sistematico rifiuto di credere. C’è anche chi dice, come fecero nel Vangelo i compaesani di Nazareth: ‘Signore, facci vedere un miracolo e allora crederò. Voglio vedere un segno come intendo io.’ E se tutto questo non avviene, si è pronti a cacciarlo dalla vita… Ma l’intero Vangelo, che è pieno di meraviglie, prove, luci, conferme, non aderisce al desiderio di quanti `tentano Dio’. Egli si dona con discrezione e totalità se ci si affida con fiducia” (21 marzo 1965).
Quarta Settimana del Tempo Ordinario
- Colore liturgico: verde
- Ger 1, 4-5. 17-19; Sal 70; 1 Cor 12,31 – 13,13; Lc 4, 21-30
Lc 4, 21-30
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 31 Gennaio – 06 Febbraio 2016
- Tempo Ordinario IV, Colore Verde
- Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 4