Il commento al Vangelo di domenica 6 dicembre 2015, seconda domenica di Avvento, a cura di Paolo Curtaz.
Alzi la mano chi non è spaventato. O scoraggiato. O stufo.
Siamo ancora qui a parlare di morti, ad annullare viaggi, ad evitare assembramenti.
Siamo di nuovo qui a guardare con disagio un tizio solo perché di carnagione olivastra, o perché vestito alla medio-orientale. E a cercare di rasserenare i nostri figli dopo il notiziario della sera.
E a leggere articoloni di giornaloni e polemicone di opinionisti senza fine.
Di chi minimizza e di chi esaspera. Di chi chiude gli occhi davanti all’evidenza (approfittando della nostra tolleranza qualcuno vuole imporre la sua intolleranza, quindi?), di chi brandisce le parole come arma (facendo di ogni erba un fascio).
E di chi, senza peli sulla lingua, accusa il cristianesimo di lassismo, e dei danni che provoca la misericordia, e della utile idiozia di chi, come il Papa, chiede pace a chi, scannando i cristiani, vuole solo la guerra, facendo il gioco dei violenti.
E chi se lo ricorda il Natale? E chi se ne importa di quanto accadrà?
Eravamo tutti contenti perché, per la prima volta dopo anni, sembrava di vedere una luce oltre l’orizzonte cupo della crisi economica! E invece…
Sono stordito, anch’io, come voi. E mai avrei pensato di cenare parlando di terrorismo invece che di compiti da finire dopo cena.
E anch’io, come voi, ho bisogno di un criterio, di un giudizio che vada al di là, al di sopra, al di dentro delle opinioni. Di una parola che illumini, in cui credere. Di una profezia.
Puntuale
E arriva, la Parola. Arriva la profezia.
Puntuale ed opportuna come non mai. Da mettere i brividi.
Nei giorni scorsi, durante uno dei miei viaggi di evangelizzazione, un prete, sorpreso, mi chiedeva, dopo aver visto un mio video di commento al Vangelo, se avessi il dono della profezia. No, ovvio, e i video, per questioni tecniche, li preparo con quindici giorni di anticipo.
È proprio Dio che vuole illuminare il nostro percorso con la sua Parola. Come accaduto il giorno di Cristo re. E domenica scorsa. E oggi.
Così scriverebbe oggi Luca:
Nell’anno quattordicesimo dopo l’assalto alle torri gemelli, mentre la Siria era divorata dalla guerra civile e il mondo islamico rinvigoriva la storica lotta fra sciiti e sunniti, quando Martin Schulz era presidente dell’Unione Europea e Vladmir Putin della Russia, nel secondo mandato di Barak Obama, regnante Francesco papa, in occasione del vile assalto contro civili inermi da parte di terroristi islamici del Daesh (acronimo che preferisco a Isis: in arabo ha assonanza con la parola che indica il “portatore di discordia”), la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
La parola di Dio scende su un piccolo profeta nel deserto, evitando con cura tutti i potenti dell’epoca, tutti i grandi agli occhi del mondo, e bisogna scovarla, andare nel deserto, cioè zittire le nostra paure e le tante opinioni, per poterla ascoltare.
Storie altre
Già Baruc, segretario di Geremia, nella prima lettura si rivolge al popolo disperso in Babilonia e vede un ritorno in grande stile nella Gerusalemme dei padri. Parla a degli straccioni senza speranza, a dei deportati che si trascinano come schiavi in attesa di morire. E sogna.
Così è, amici, la Storia di Dio si sovrappone alla piccola e violenta storia degli uomini e la trasfigura.
Nessuno di noi conoscerebbe Erode se non avesse ucciso il Battista. Il procuratore Pilato viene nominato ogni domenica nella professione di fede non per la sua audacia politica e militare, ma per aver ucciso un falegname esaltato che si prese per Dio. E che lo era.
E noi, a che storia vogliamo appartenere? Le energie, i sogni, l’audacia che mettiamo per chi o cosa la mettiamo? Per la fragile storia degli uomini? O per quella di Dio?
Lavori in corso
Entrare nella storia altra significa, anzitutto, aprirsi allo stupore di Dio, attenderlo ed accoglierlo per ciò che egli è, non per ciò che vorremmo che fosse. L’avvento non aggiunge degli impegni alla nostra scarsa fede e alla nostra poca disponibilità alla preghiera, ma un tempo in cui ci è chiesto di accorgerci, di preparare la strada, di spalancare il cuore.
Citando Isaia, Giovanni è molto preciso sulle cose da fare: raddrizzare i sentieri, riempire i burroni, spianare le montagne.
Raddrizzare i sentieri, cioè avere un pensiero semplice, lineare, senza troppi giri di testa. La fede è esperienza personale che nasce nella fiducia, che diventa abbandono. La fede va interrogata, nutrita, è intellegibile, ragionevole. Ma ad un certo punto diventa salto, ragionevole salto tra le braccia di questo Dio. Abbiamo bisogno di pensieri veri nella nostra vita, di pensieri positivi e buoni per poter accogliere la luce.
Riempire i burroni delle nostre fragilità. Tutti noi portiamo nel cuore dei crateri più o meno grandi, più o meno insidiosi, delle fatiche più o meno superate. Ebbene: occorre stare attenti a non lasciarci travolgere dalle nostre fragilità o, peggio, mascherarle. Ognuno di noi porta delle tenebre nel cuore: l’importante è che non ci parlino, l’importante è non dar loro retta.
Spianare le montagne. In un mondo basato sull’immagine conta più l’apparenza della sostanza. Bene il fitness, ottimo il body-building per stare in forma. È bene curare il proprio modo di vestire. Ma occorre aprire qualche palestra di spirit-building, qualche estetista del cuore e dell’anima!
Attendere con gioia
Essenzialità, verità, desiderio: questi gli strumenti per trovare un sentiero verso Dio.
E questo già ci procura gioia, l’attesa già ci scuote dentro, ci apre lo stupore… gioia come quella che san Paolo prova per la sua comunità greca di Filippi, come quella che il salmista descrive per il ritorno dei prigionieri da Babilonia a Gerusalemme.
La storia la scrivono i violenti. La Storia la cambia Dio.