C’era una volta un bramino buono e pio che viveva con le elemosine che i fedeli gli regalavano. Un giorno pensò: “Andrò a chiedere l’elemosina vestito come un povero intoccabile”.
Così mise uno straccio intorno ai fianchi, come fanno i paria, i più poveri dell’India.
Quel giorno nessuno lo salutò, nessuno gli diede l’elemosina.
Andò al mercato, andò al tempio, ma nessuno gli rivolgeva la parola.
La volta successiva il bramino si vestì secondo la sua casta: si mise un bel vestito bianco, un turbante di seta e una giacchetta ricamata. La gente lo salutava e gli dava denaro per lui e per il tempio.
Quando tornò a casa, il bramino si tolse gli abiti, li posò su una sedia e si inchinò profondamente. Poi disse: “Oh! Fortunati voi, vestiti! Fortunati! Sulla terra ciò che è certamente più onorato è il vestito, non l’essere umano che vi è sotto”.
Perché‚ badiamo ai vestiti e non alle persone? Crediamo alle cravatte e non alle idee e spesso i giovani sposano un abbigliamento, non una persona…
Un circo fermo in uno spiazzo alla periferia del paese, durante la rappresentazione, prese fuoco. Il clown, già abbigliato per lo spettacolo, corse a cercare aiuto. Arrivò affannato nella piazza del villaggio e prese a supplicare i paesani: “Correte presto! Il circo sta bruciando !”.
Ma la gente prese le grida del pagliaccio come spettacolo, per cui lo applaudiva, ridendo fino alle lacrime.
“Se non lo fermiamo subito, il fuoco attaccherà i campi di grano maturo e arriverà al paese!”, gridava il clown e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegando che non si trattava affatto di una finzione, di un trucco, ma di un’amara realtà.
Il suo pianto intensificava le risate: “Bravo!”, esclamavano. “Sei un vero attore!”.
Così il fuoco avanzò tranquillamente: divorò il circo e tutte le case del villaggio.