Quale immagine d’Italia porteremo al Convegno di Firenze? E quale realtà di Chiesa “restituiremo” al nostro Paese dopo aver vissuto il Convegno? Tra questi due interrogativi sta il lungo cammino di questi ultimi anni, che ora viene a compimento.
Nella storia recente della Chiesa italiana i Convegni rappresentano il punto più alto di raduno, il momento forte per condividere idee, proposte, esperienze. Roma, Loreto, Palermo, Verona – le sedi dei precedenti Convegni – sono oggi ricordati come altrettante “tappe” attraverso le quali la Chiesa italiana è cresciuta nella consapevolezza di se stessa e del proprio ruolo nel Paese.
Oggi i giorni di Firenze sono a chiederci di continuare questo cammino, segnato da “paletti” molto chiari: la necessità di alimentare la comunione ecclesiale, vero “cemento” della nostra vita di fede; e il dovere di accrescere il discernimento, la capacità di interpretare i segni dei tempi progettando il nostro contributo all’avvenire di questo Paese. Anche per questo è fondamentale che intorno al Convegno, nei prossimi giorni, ci sia tutta l’attenzione della Chiesa e delle comunità cristiane italiane.
Un’attenzione fatta di preghiera, per “rappresentare” al Signore il lavoro e il cammino che si sta facendo; un’attenzione ai contenuti dei lavori, a cominciare da quanto ci dirà papa Francesco martedì. E anche, vorrei dire, un’attenzione “mediatica”: a come si parlerà del Convegno, seguendo cronache e commenti prima di tutto su questo nostro giornale, e poi sugli altri media stampati, televisivi, digitali. Perché il Convegno è uno snodo centrale nel cammino della nostra Chiesa italiana. Il metodo seguito nella preparazione potrebbe diventare un’indicazione preziosa anche per il futuro, nell’ambito dei cambiamenti che ci aspettano.
Il Convegno è “maturato”, negli ultimi due anni, attraverso percorsi soprattutto interni alle comunità cristiane – parrocchie e diocesi, associazioni e movimenti, mondi della scuola, della famiglia, del lavoro, della salute. L’Invito ha chiesto a tutti un coinvolgimento concreto: trasmettere a chi preparava il Convegno la testimonianza delle proprie esperienze intorno al tema del nuovo umanesimo in Gesù Cristo. La risposta è stata più che incoraggiante: i contributi arrivati hanno indicato, per numero e qualità, quanto il tema fosse “centrato”. Perché emergeva, da quei contributi, la capacità di distinguere, tra i grandi cambiamenti che caratterizzano questo nostro tempo, quali sono le questioni veramente “fondamentali” e quali invece sono problemi che, pur importanti, attengono più alla sfera dell’attualità, o del semplice dibattito culturale e mediatico.
La questione fondante, insomma, è proprio la necessità che abbiamo di interrogarci nel profondo, con sapienza credente, su che cosa significa “umanità”, nel contesto di progressi, tecnologie, modernità in cui stiamo camminando. Come dice Robert Musil: «I veloci mezzi di locomozione fan più vittime che tutte le tigri dell’India, ed evidentemente la mentalità spietata, incosciente e leggera con cui noi lo sopportiamo ci consente d’altronde innegabili successi» (L’uomo senza qualità).
Le sollecitazioni giunte dalla “base” della Chiesa italiana ci hanno aiutato a costruire quel “mosaico” che è il nostro Paese stesso, con le sue contraddizioni ma, molto di più, con la generosità della sua gente, con una capacità di accoglienza che abbiamo visto alla prova in tante svariate occasioni. Un Paese che sa di invecchiare, e che deve ancora trovare gli stimoli e i contesti necessari per imboccare una strada nuova in cui le risorse di persone e istituzioni entrino davvero in quel “circolo virtuoso” dove è possibile coniugare il “progresso” delle tecniche e dei mercati con lo “sviluppo” di relazioni sociali più umane e più eque.
Lungo il filo dell’umanesimo, dall’Invito si è costruita la Traccia, che è qualcosa di più e di diverso di uno strumento di lavoro in vista del Convegno. Qui è stata fatta la scelta fondamentale di “incrociare” gli ambiti individuati dal Convegno di Verona 2006 con le cinque Vie indicate da papa Francesco nella Evangelii gaudium: perché i giorni di Firenze saranno quelli in cui definire i percorsi del necessario rinnovamento della presenza della Chiesa in Italia. Un rinnovamento, come chiede il Papa, nella mentalità e nello spirito, per rinfrescare i termini veri della nostra presenza: l’annuncio gioioso del Vangelo e l’entusiasmo della missione, a servizio della nostra gente.
Firenze è il contesto ideale in cui sviluppare tale confronto. In questa città bellezza e carità si intrecciano da secoli; hanno generato opere d’arte uniche ma prodotto anche un contesto sociale, un clima culturale divenuto modello per l’intero Occidente. Ce lo ricorda Dante: «A così riposato, a così bello / viver di cittadini; a così fida / cittadinanza a così dolce ostello / Maria mi diè, chiamata in alte grida / e ne l’antico vostro Batisteo / insieme fui cristiano e Cacciaguida» (Paradiso XV, 130-135). Quel modello non è soltanto memoria e nostalgia: è un programma di vita che anche noi oggi possiamo riconquistare.