Nel Settecento il filosofo David Hume dichiarava: “ Gli errori della filosofia sono sempre ridicoli, quelli della religione sono sempre pericolosi”. Effettivamente una religiosità che impazzisce diventa esplosiva e ne sappiamo qualcosa attraverso certi atti del fondamentalismo islamico. Bisogna, però, sempre distinguere tra la religione in sé, con il suo messaggio, e la pratica personale. E’ ciò che ci ricorda il seguente aforisma orientale: “ Due uomini s’addentrarono nel grande mare della religione. Uno ne uscì vivificato e trasformato. L’altro vi annegò”. Com’è possibile che lo stesso mare in cui si bagnano due uomini faccia uscire l’uno purificato e limpido e faccia perire l’altro?
La risposta non è nel mare ma nel modo con cui ci si immerge, nell’uso che se ne fa, nella capacità o meno di nuotarvi. Così, aveva ragione lo scrittore J. L. Borges quando ammoniva che “ è più facile morire per una religione che viverla assolutamente”. C’è dunque un’adesione che nasce da una fede autentica e che rende l’esperienza religiosa sorgente di vita per sé e per gli altri e c’è un uso spregiudicato o fanatico della spiritualità che semina morte in colui che lo adotta e in chi gli sta attorno. Le parole di San Paolo mantengono sempre il loro valore generale: “ La lettera uccide, lo Spirito dà vita”.
“C’è una religiosità gretta e meschina che paradossalmente allontana da Dio e dal respiro libero e gioioso del suo Spirito. E’ per questo che dobbiamo senza sosta sorvegliare la nostra interiorità, custodire la purezza della fede, verificarla sul metro dell’amore”.