“Un rospo che vive in fondo a un pozzo giudica la vastità del cielo sulla base del bordo del pozzo” E’ un proverbio mongolo testimone di una verità che tutti ci accomuna. Quel rospo che è laggiù nel fondo melmoso di un pozzo immagina il cielo solo con i contorni del bordo che da quel punto di vista riesce a intuire. E’ una lezione costante: per molte persone il proprio angolo di visuale è l’unica possibilità di interpretare tutta la realtà. Nasce, così, una particolare ostinazione che si trasforma in supponenza: si diventa convinti che solo quella è la verità, opponendosi a ogni altra prospettiva. E’ per questo che la grettezza e la chiusura mentale diventano pericolose. Forse affermano un aspetto genuino della realtà ma ignorano che esso è parziale e che deve confrontarsi con altri punti di vista. Ma chi è così isolato nella propria autosufficienza non vuole uscire dal suo guscio, anzi, teme l’ampiezza degli orizzonti, come è attestato da coloro che ai nostri giorni hanno paura di tutto ciò che è diverso si a livello etnico o sociale sia a livello religioso o culturale. Essi sono incapaci di dialogare con l’altro perché sospettano di perdere la loro fragile identità fatta di quel piccolo e quieto orizzonte e non solo perché rigettano sempre e comunque chi è differente da loro.
E’ necessario non relegarsi in un pozzo e non ridurre il cielo della verità a quel modesto cerchio che sta sopra la nostra testa. L’anima umana è come il vento che passa sopra le frontiere e vola verso i cieli, nella rincorsa dell’infinito.