Nel nostro opulento mondo occidentale ci riesce difficile comprendere che cosa significhi avere fame e poi, in modo sorprendente, essere saziati con abbondanza. Nel nostro mondo presuntuoso siamo convinti di avere risposte tecniche ed efficaci per ogni problema ed è perciò più arduo saper apprezzare gesti gratuiti. Alle prese, malgrado tanto progresso, con le realtà macroscopiche di gente che spasima sotto la soglia della sopravvivenza fisica e altra – anche (soprattutto?) nel mondo ‘ricco’ – che boccheggia per mancanza di valori, di senso, di una qualità umana del vivere, sono disposto a mettere in gioco i miei «cinque pani e due pesci»? Ho il coraggio di perderli per darli al Signore, così che tanti possano vivere? È un gesto impossibile fin quando penso che ho di ritto a tenermi ben stretto ciò che possiedo. Riesco a condividere solo se cambio mentalità, e quindi sguardo: se non vedo nell’altro un rivale, ma un figlio come me dell’unico Padre; se comprendo che insieme siamo parte di un unico corpo. Allora ciò che ho – e più ancora ciò che sono – non è dato a me perché solo io ne goda, ma mi è affidato perché tanti possano divenirne partecipi.
Qualcuno ha detto che si possiede veramente solo ciò che si dona. Il miracolo della “moltiplicazione dei pani” può continuare, se lo permetto…