IL VANGELO STRABICO
XXXIII Domenica
Tempo Ordinario – C
(Malachia 3, 19-20; 2 Tessalonicesi 3, 7-12; Luca 21, 5-19)
A cura di Benito Giorgetta
La fine è un abbraccio e non un’espulsione
Ascoltiamo il Vangelo:
“In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle
pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete,
non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono:
«Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando
esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti
infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate
dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si
solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi
luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni
grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi
davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare
testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io
vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né
controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli
amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma
nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita»”.
Come chi, dopo una giornata intensa di duro lavoro, prima di lasciare il suo posto
rassetta i ferri e si prepara a far ritorno in casa, così l’uomo, al termine della sua esistenza
terrena, è chiamato a rassettare la sua storia ed orientarsi verso Dio. La transitorietà della
nostra presenza nella storia umana confluisce, al suo termine, nell’eternità di Dio. Non
tutto finisce ma ogni cosa si trasforma. “Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma
trasformata. Come un grezzo pezzo di ferro immerso nella fucina lo rende disponibile a
ricevere i colpi trasformanti del sapiente artigiano che lo manipola, così ogni uomo al
termine del suo percorso terreno di purificazione si rende disponibile all’incontro col
Creatore che lo attende per accoglierlo ed introdurlo nel tempo senza fine, nella storia
dell’eternità.
Questo passaggio anche se doloroso nell’ottica evangelica deve essere letto come
“un tornante che apre l’orizzonte” (Ermes Ronchi). Come quando un automobilista esce
dalla nebbia che gli ha reso difficile il cammino e ha messo a dura prova la sua capacità di
guidare, così davanti all’uomo che ha lottato e sofferto nel cammino della sua vita si
dischiude dinanzi a lui l’intensità della luce divina e l’abbraccio paterno del Padre che lo ha
guidato ed accompagnato nelle sue lotte, gli ha partecipato il suo perdono nelle sconfitte e
lo ha chiamato a partecipare con lui la gioia della vita senza fine. “Nel caos della storia lo
sguardo del Signore è fisso su di me, non giudice che incombe, ma custode innamorato di
ogni mio frammento”. Da parte nostra la perseveranza: far risuscitare dal cuore la
speranza assopita, non arrendersi mai, insistere animati dal desiderio dell’incontro
gratificante col creatore del mondo amante della vita quindi anche di ciascuno di Noi. La
fine della storia non è un’infelice e punitiva espulsione ma si celebra in un abbraccio tra
Dio e l’uomo.